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LO SCOSSONE DEL KAZAKISTAN

Una veduta della capitale del Kazakistan, Astana, con in primo piano la Bayterek Tower. Dopo la firma delle dimissioni del presidente Nazarbayev la città è stata ribattezzata col suo nome, Nursultan. EPA/IGOR KOVALENKO Nursultan Nazarbayev, presidente del Kazakistan per 30 anni
Una veduta della capitale del Kazakistan, Astana, con in primo piano la Bayterek Tower. Dopo la firma delle dimissioni del presidente Nazarbayev la città è stata ribattezzata col suo nome, Nursultan. EPA/IGOR KOVALENKO Nursultan Nazarbayev, presidente del Kazakistan per 30 anni
Una veduta della capitale del Kazakistan, Astana, con in primo piano la Bayterek Tower. Dopo la firma delle dimissioni del presidente Nazarbayev la città è stata ribattezzata col suo nome, Nursultan. EPA/IGOR KOVALENKO Nursultan Nazarbayev, presidente del Kazakistan per 30 anni
Una veduta della capitale del Kazakistan, Astana, con in primo piano la Bayterek Tower. Dopo la firma delle dimissioni del presidente Nazarbayev la città è stata ribattezzata col suo nome, Nursultan. EPA/IGOR KOVALENKO Nursultan Nazarbayev, presidente del Kazakistan per 30 anni

Trent’anni vissuti saldamente al comando. Confermato ogni volta da elezioni, come dire, orchestrate da un rito che portava a un consenso bulgaro, o meglio, kazako, del 98 per cento alla volta. Per questo quando il 19 marzo Nursultan Nazarbayev, 78 anni, è andato in diretta tv e ha annunciato le sue dimissioni dalla presidenza del Kazakistan, la sorpresa è stata grande. Si sapeva che il padre padrone del Paese, in sella dal 1989 e regista dell’indipendenza dall’Unione Sovietica proclamata nel 1991, stava programmando il passaggio di consegne. Già nel 2017 aveva varato un pacchetto di riforme destinate a diluire leggermente il suo potere e il presidente del Senato, Kassym-Jomart Tokayev, 65 anni, aveva avuto l’ardire di dichiarare alla Bbc che Nazarbayev non si sarebbe candidato alle successive elezioni in programma nel 2020. Previsione azzeccata. Non aveva previsto, però, o almeno non aveva avuto il coraggio di anticipare che il presidente si sarebbe dimesso prima della scadenza del mandato. La Costituzione prevede che, in attesa delle elezioni che stabiliranno il successore, la presidenza venga nel frattempo affidata al leader del Senato, Tokayev, appunto. Il quale a sua volta è stato sostituito nella seconda carica del Paese da Dariga Nazarbayeva, influente figlia del leader storico che quindi lascia intendere ambizioni dinastiche. «Tokayev - ha detto Nazarbayev nel suo discorso - lavora accanto a me fin dai primi giorni dell’indipendenza. Lo conosco bene: è onesto, responsabile e preciso. Tutti i programmi sono stati elaborati e adottati con la sua partecipazione e credo che sia la persona giusta a cui affidare la guida del Kazakistan». Come rilevava The Economist, di solito l’autocrate o il dittatore che resta in sella per trent’anni è destinato a lasciare il potere in due modi diversi: o per un colpo di stato o in una bara. La storia è piena di casi simili, alle diverse latitudini del pianeta. Nel caso del Kazakistan, un Paese immenso, il più grande senza accesso al mare e ricco di materie prime, la forza di Nazarbayev si manifesta anche nel potere di scegliere il momento giusto di andarsene sapendo di poter mantenere nel contempo le grinfie ben salde sul timone. Non solo progettando un probabile ruolo fondamentale per la figlia, ma mantenendo per sé la guida del Consiglio di sicurezza e quindi il controllo delle forze armate. “Conserva anche – precisa The Economist – il diritto di intervenire nell’attività politica del Paese per il resto della sua vita. Non potrà essere perseguito per le azioni esercitate durante il suo mandato e i beni suoi e della sua famiglia restano intoccabili”. Insomma, tutto cambia perché nulla cambi. Il primo provvedimento preso dal nuovo leader, peraltro, lascia intendere quale sia la considerazione nei confronti del padre della patria: la capitale Astana è stata ribattezzata, dalla sera alla mattina, Nursultan, omaggio imperituro alla memoria di un leader che è ancora vivo e gode di ottima salute. E che, quasi per fare un bilancio del suo lungo mandato, ha espresso orgoglio per l’armonia che regna tra gli oltre cento gruppi etnici in cui sono divisi i 18 milioni di abitanti del Kazakistan, metà dei quali ha visto solo Nazarbayev come leader. Considera un successo anche l’aver saputo portare fuori il Paese dalla stagnazione dell’era post sovietico sfruttando le ricchezze petrolifere. «Ma dimentica di ricordare – obietta The Economist – che gran parte di questo sviluppo è andato a beneficio del suo clan». Comunque sia, ora si apre una stagione elettorale un po’ meno scontata delle precedenti. Lo stesso Tokayev potrebbe correre o, dopo il recente insediamento del nuovo governo, il 53enne Askar Mamin, promosso a primo ministro. Per ora le intenzioni eventuali di candidare la figlia rimangono sottotraccia. Resta un’ultima considerazione, come dire, geopolitica che vedrebbe questo cambio in corsa più favorevole a una politica pro Cina, in vista di una Via della Seta che interessa da vicino il Kazakistan. La Russia di Putin osserva con attenzione. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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