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LE SPIE NASCOSTE NEI CHIP CINESI

Un nuovo chip della tecnologia cinese svelato durante una cerimonia organizzata dal gigante delle telecomunicazioni Huawei. Le grandi potenze occidentali hanno bloccato l’operatività del 5G. ANSA/AP PHOTO/VINCENT YULa bandiera dell’ambasciata canadese a Pechino. EPA/ROMAN PILIPEY
Un nuovo chip della tecnologia cinese svelato durante una cerimonia organizzata dal gigante delle telecomunicazioni Huawei. Le grandi potenze occidentali hanno bloccato l’operatività del 5G. ANSA/AP PHOTO/VINCENT YULa bandiera dell’ambasciata canadese a Pechino. EPA/ROMAN PILIPEY
Un nuovo chip della tecnologia cinese svelato durante una cerimonia organizzata dal gigante delle telecomunicazioni Huawei. Le grandi potenze occidentali hanno bloccato l’operatività del 5G. ANSA/AP PHOTO/VINCENT YULa bandiera dell’ambasciata canadese a Pechino. EPA/ROMAN PILIPEY
Un nuovo chip della tecnologia cinese svelato durante una cerimonia organizzata dal gigante delle telecomunicazioni Huawei. Le grandi potenze occidentali hanno bloccato l’operatività del 5G. ANSA/AP PHOTO/VINCENT YULa bandiera dell’ambasciata canadese a Pechino. EPA/ROMAN PILIPEY

La trama di un film di spionaggio sembra scorrere sugli schermi dei telefonini Huawei, colosso cinese di Shenzhen delle comunicazioni. Peraltro sempre più gettonati anche dai giovani occidentali, dopo che i costosi iPhone della Apple hanno perso terreno nelle classifiche di vendita dei centri commerciali del pianeta. Si potrebbe cominciare dai tempi cupi della rivoluzione culturale di Mao, quando l’esercito cinese arruolò un giovane tecnico di nome Ren Zhengfei, entrato poi nel partito comunista in virtù degli ottimi servizi resi. Conviene però partire da più vicino, diciamo dal 1° dicembre dello scorso anno, quando Meng Wanzhou, 46 anni, vicepresidente di Huawei, è stata arrestata in Canada nell’ambito di una indagine Usa su un uso spregiudicato del sistema bancario mondiale per eludere le sanzioni americane all’Iran. A tenere insieme i due dettagli così lontani nel tempo è il rapporto di parentela dei due protagonisti: la 46enne arrestata, e poi messa i domiciliari, è la figlia del giovane tecnico di maoista memoria che, molti anni più tardi, fondò e portò al successo mondiale, indovinate quale compagnia, esatto, proprio quella: Huawei. Sulla rotta Canada, Stati Uniti, occidente libero (per ora) e Cina scorre una storia che sarebbe davvero ideale ed emozionante per un film di spie, se non fosse invece così preoccupante per la realtà geopolitica mondiale. La questione del commercio con l’Iran, usata come grimaldello per chiudere in cella la responsabile finanziaria cinese di Huawei, ha tutta l’aria di essere la prima “punizione” non dichiarata affibbiata da Donald Trump a Pechino per aver usato quell’azienda tecnologicamente avanzata, propugnatrice del 5G e di altre diavolerie atte a facilitare la circolazione di dati e voce, al fine di rubare informazioni riservate a tutti i livelli. Morale della favola, dopo l’arresto della donna a Vancouver si è capito che qualcosa è cambiato, per cominciare, nelle relazioni tra Canada e Cina. Un turista canadese, a suo tempo condannato a 15 anni per una storia poco chiara di droga ha subito, dalla sera alla mattina, una revisione del processo che ha trasformato la lunga pena detentiva in condanna a morte. Come se non bastasse, le autorità cinesi hanno poi provveduto ad arrestare un ex diplomatico e un uomo d’affari, guarda caso canadesi. È intervenuto anche il premier di Ottawa, Justin Trudeau, che si è detto «estremamente preoccupato, come dovrebbero esserlo tutti i Paesi del mondo, per la decisione arbitraria della Cina di condannare a morte un canadese». Così come, segnala l’Ansa, ha «deplorato anche il mancato rispetto delle prassi sull’immunità diplomatica, dopo la detenzione dell’ex ambasciatore canadese Michael Kovrig, cui è seguita quella dell’imprenditore canadese Michael Spavor: entrambi sono sospettati di mettere a rischio la sicurezza nazionale di Pechino». Intanto Huawei, dopo le accuse americane di rubare i segreti in maniera fraudolenta, è finita nel mirino di molti altri Paesi sviluppati. Australia, Nuova Zelanda, Regno Unito, Giappone e Germania, in modi diversi, hanno di fatto messo un argine alla diffusione del 5G, per motivi di sicurezza. Addirittura gli americani sospettano che nelle apparecchiature di energia solare di fabbricazione cinese siano stati inseriti dei sistema di spegnimento da remoto che potrebbero paralizzare intere centrali. Insomma, una guerra vera e propria che procede a fianco di quella più strettamente commerciale dei dazi. Intanto le conseguenze più evidenti si vedono nei rapporti diplomatici tra Cina e Canada, ai minimi termini dopo l’arresto della manager di Huawei seguito dalle ritorsioni di Pechino. L’ambasciatore cinese a Ottawa, Lu Shaye, accusa però il Canada di «egoismo occidentale» e «supremazia bianca». «Il Canada - afferma l’ambasciatore in una lettera pubblicata dall’Hill Times, quotidiano di Ottawa - ha adottato un doppio standard, chiedendo il rilascio dei due uomini fermati in Cina». La giustizia, in questo momento, pare sottoposta a una rivoluzione culturale diffusa magari con il 5G. Mao ne sarebbe criminalmente fiero. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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