<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">

LE RUGHE DELLA NATO

I ministri degli Esteri dell’Alleanza atlantica riuniti attorno al tavolo del Dipartimento di Stato di Washington in occasione del 70° anniversario della fondazione celebrato la settimana scorsa. ANSA/AP PHOTO/PABLO MARTINEZ MONSIVAISJens Stoltenberg “marcato” a vista da Mike Pompeo e Nancy Pelosi
I ministri degli Esteri dell’Alleanza atlantica riuniti attorno al tavolo del Dipartimento di Stato di Washington in occasione del 70° anniversario della fondazione celebrato la settimana scorsa. ANSA/AP PHOTO/PABLO MARTINEZ MONSIVAISJens Stoltenberg “marcato” a vista da Mike Pompeo e Nancy Pelosi
I ministri degli Esteri dell’Alleanza atlantica riuniti attorno al tavolo del Dipartimento di Stato di Washington in occasione del 70° anniversario della fondazione celebrato la settimana scorsa. ANSA/AP PHOTO/PABLO MARTINEZ MONSIVAISJens Stoltenberg “marcato” a vista da Mike Pompeo e Nancy Pelosi
I ministri degli Esteri dell’Alleanza atlantica riuniti attorno al tavolo del Dipartimento di Stato di Washington in occasione del 70° anniversario della fondazione celebrato la settimana scorsa. ANSA/AP PHOTO/PABLO MARTINEZ MONSIVAISJens Stoltenberg “marcato” a vista da Mike Pompeo e Nancy Pelosi

La Nato festeggia i 70 anni ma non riesce a nascondere le rughe. Con la caduta del muro di Berlino, nel 1989, Stati Uniti ed Europa pensavano di aver vinto la partita della libertà e per questo si aprì una discussione al fine di trovare un nuovo senso, meno geografico e più ideale, per concepire un’Alleanza atlantica adatta ad affrontare le sfide del nuovo millennio. Che iniziò l’11 settembre 2001 con l’attentato alle Torri Gemelle, un vero e proprio attacco alla civiltà occidentale portato a termine dagli estremisti islamici guidati da Osama bin Laden, fondatore di Al Qaeda asserragliato nell’Afghanistan delle tenebre talebane. Quella è stata finora l’unica volta nella storia in cui si è attivato l’articolo 5 del trattato costitutivo della Nato: un Paese dell’alleanza, gli Stati Uniti, era rimasto vittima di un attacco mortale da parte di un nemico e gli altri Paesi intervennero per difenderlo e per organizzare, insieme al Pentagono, una risposta armata. La guerra in Afghanistan nacque così. E negli anni successivi, quelli di George W. Bush e dei cosiddetti neocon alla guida degli Stati Uniti, prese vigore la teoria dell’esportazione della democrazia. Un’ideologia a suo modo rivoluzionaria che sovvertiva il principio “realista” che aveva fino ad allora regnato indisturbato alla Casa Bianca e a Langley: alt all’appoggio alle dittature “amiche” di Washington e sostegno, se necessario armato, all’idea di democrazia che, alla lunga, è il modo più diretto e coerente per difendere interessi e valori dei Paesi della Nato. Non è andata come si sperava. L’estensione della guerra dall’Afghanistan all’Iraq ha finito col seppellire il disegno rivoluzionario dei neocon, diventato sinonimo di imperialismo (l’esatto contrario di quello che si proponevano gli ideologhi di Bush), e la successiva ondata di rivolta democratica in Medio Oriente, passata alla storia col nome di Primavera araba, è stata presto contenuta dal riflusso del realismo stile Nixon: meglio una dittatura “amica” dell’Occidente piuttosto che una democrazia incerta e poco controllabile (meglio il pugno di ferro di al Sisi piuttosto che i pericolosi Fratelli musulmani democraticamente eletti in Egitto, per capirci). In tutto questo ambiente si sono mossi come squali nell’acquario geopolitico tanto la Russia di Vladimir Putin quanto la Cina di Xi Jinping. E il 4 aprile scorso a Washington i ministri degli Esteri della Nato, insieme al segretario generale dell’Alleanza, Jens Stoltenberg, si sono trovati d’accordo nell’individuare in Mosca e in Pechino le due minacce più serie per l’Occidente. Da un lato c’è il ritorno alla logica della Guerra fredda, con Putin che, come dimostrato anche da un documento pubblicato ieri in esclusiva da Repubblica, alimenta quella che potremmo definire la strategia della tensione in Europa e negli Stati Uniti, sostenendo quelle forze politiche che mettono in discussione le fondamenta democratiche dell’alleanza rimasta in piedi 70 anni, e dall’altro si sta già combattendo una guerra commerciale con la Cina che, attraverso la strategia espansionistica della Via della Seta, punta anche a espandere un modello, che si potrebbe definire come “capitalismo comunista”, ritenuto più efficace proprio perché privo degli “orpelli” previsti dagli ordinamenti genuinamente democratici. In mezzo a tutti questi minacciosi sconvolgimenti è arrivato Donald Trump, peraltro salito alla presidenza degli Stati Uniti con la benevolenza, se non col sostegno nascosto, della Russia. Tra le sue prime proposte è arrivata quella di congelare l’articolo 5 del trattato Nato nel caso i Paesi alleati non si fossero rapidamente messi in regola con le quote (leggi: arrivare a destinare il 2% del Pil per la difesa atlantica). Mike Pompeo, segretario di Stato Usa, l’altro giorno ha bacchettato la “tirchia” Germania, che paga troppo poco, e l’avventata Italia che tresca col nemico cinese. Non sarà facile garantire un futuro a quello che Alcide De Gasperi riteneva un «patto di sicurezza, una garanzia di pace, una misura preventiva contro la guerra». • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Suggerimenti