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LE FARSESCHE ELEZIONI D’EGITTO

Giovani sostenitrici del presidente uscente manifestano a favore della rielezione di Abdel Fattah al-Sisi. Non ci sono dubbi su quello che sarà l’esito delle elezioni di fine marzo in Egitto. EPA/MOHAMED HOSSAMUn militare prima di una manifestazione pro Sisi. EPA/MOHAMED HOSSAM
Giovani sostenitrici del presidente uscente manifestano a favore della rielezione di Abdel Fattah al-Sisi. Non ci sono dubbi su quello che sarà l’esito delle elezioni di fine marzo in Egitto. EPA/MOHAMED HOSSAMUn militare prima di una manifestazione pro Sisi. EPA/MOHAMED HOSSAM
Giovani sostenitrici del presidente uscente manifestano a favore della rielezione di Abdel Fattah al-Sisi. Non ci sono dubbi su quello che sarà l’esito delle elezioni di fine marzo in Egitto. EPA/MOHAMED HOSSAMUn militare prima di una manifestazione pro Sisi. EPA/MOHAMED HOSSAM
Giovani sostenitrici del presidente uscente manifestano a favore della rielezione di Abdel Fattah al-Sisi. Non ci sono dubbi su quello che sarà l’esito delle elezioni di fine marzo in Egitto. EPA/MOHAMED HOSSAMUn militare prima di una manifestazione pro Sisi. EPA/MOHAMED HOSSAM

Nella migliore delle ipotesi si tratta di elezioni farsa. Nella peggiore, come sospetta l’Onu, si tratta di elezioni tenute in un clima intimidatorio. Probabilmente sono vere entrambe le cose. L’Egitto di Abdel Fattah al-Sisi andrà il voto tra il 26 e il 28 marzo ma non c’è alcun dubbio sull’esito della consultazione più scontata della storia. Più o meno come ai tempi di Mubarak, il faraone deposto dai moti della primavera araba di piazza Tahrir, salvo poi scoprire che non sempre, anzi, quasi mai, la democrazia garantisce il risultato più gradito dalle menti “illuminate”. Così nelle elezioni del maggio 2012 risultò eletto Mohamed Morsi, il candidato sostenuto dai Fratelli musulmani, il gruppo fino ad allora messo al bando dal Cairo. Ebbene, l’entusiasta Occidente non ci mise molto ad accorgersi che c’era poco da festeggiare. La democrazia non si misura solo al momento del voto. Si pesa anche dall’uso che ne fanno i vincitori, che devono garantire i diritti dell’opposizione. Morale della favola, l’estremismo islamico dei vincitori fornì agli amici del generale Sisi, e all’incerto Occidente, la scusa per sostenere le ragioni di un colpo di stato “realista”. Magari non democratico, ma digeribile anche per le anime belle che pensavano che a queste latitudini potesse funzionare il sistema adottato da Europa e Stati Uniti. Adesso succede che il capo dell’agenzia Onu per i diritti umani, Zeid Ràad al-Hussein, dica apertamente che le elezioni presidenziali in Egitto si stanno svolgendo «in un pervasivo clima di intimidazione». Del resto, basta dare un occhio alle scarne cronache, molto scarne nei giornali egiziani controllati dal regime, per registrare che tutti i potenziali sfidanti di Sisi «sarebbero stati spinti al ritiro, alcuni attraverso arresti». «I media indipendenti sono stati posti sotto silenzio - prosegue il capo dell’agenzia Onu per i diritti umani - e sono completamente bloccati più di 400 siti internet di media e Ong». La cosa invece farsesca di queste elezioni è la presenza di un unico candidato “alternativo”, Moussa Mostafa, che in realtà è un fervente sostenitore del presidente uscente. «Finora Moussa non ha pronunciato discorsi in pubblico, o fatto tramettere spot in tv o comprato spazi pubblicitari sui giornali - scrive il Washington Post -. Il 4 marzo al suo primo incontro elettorale erano presenti non più di 25 sostenitori. In qualità di leader del partito centrista Ghad, Moussa è stato uno dei più strenui sostenitori di Sisi e protagonista di un ben orchestrato tentativo di garantire al presidente uscente un secondo mandato». Una farsa vera e propria, che però in Italia è vista più come una tragedia. Basta pensare a quello che è successo a Giulio Regeni, lo studente massacrato dagli scherani del regime che poi si sono preoccupati di fornire alle autorità italiane versioni costruite a tavolino. E nonostante l’inaccettabile atteggiamento delle autorità egiziane, la ragion di stato ha indotto la Farnesina a ripristinare la normalità delle relazioni diplomatiche, con la decisione di rimandare l’ambasciatore al Cairo. Amnesty International continua a esprimere insoddisfazione per come è stato seguito il caso. «La collaborazione con le autorità per ottenere la verità sul ragazzo ucciso in Egitto più di due anni fa - ha sottolineato Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International Italia - a circa sei mesi dalla decisione di rimandare il nostro ambasciatore al Cairo, è ancora del tutto insufficiente». Al di là di queste proteste, le diplomazie occidentali hanno già archiviato alla voce “illusione” la Primavera araba e preferiscono avere alla guida dell’Egitto un autocrate affidabile come Sisi, uno che tiene sotto controllo le fibrillazioni degli estremisti islamici. L’Italia, poi, ha motivi economici non trascurabili. Un comunicato della presidenza egiziana riferisce che Sisi «ha auspicato di continuare a cooperare con Eni per ulteriori esplorazioni in campo energetico e ha elogiato la partnership con Eni e la sua professionale esecuzione di progetti». La democrazia può attendere. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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