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LA SVOLTA DI PACE DELL’ETIOPIA

Una manifestazione in Etiopia a sostegno del primo ministro Abiy Ahmed. ANSA/AP PHOTO/MULUGETA AYENE
Una manifestazione in Etiopia a sostegno del primo ministro Abiy Ahmed. ANSA/AP PHOTO/MULUGETA AYENE
Una manifestazione in Etiopia a sostegno del primo ministro Abiy Ahmed. ANSA/AP PHOTO/MULUGETA AYENE
Una manifestazione in Etiopia a sostegno del primo ministro Abiy Ahmed. ANSA/AP PHOTO/MULUGETA AYENE

Un premio Nobel d’incoraggiamento. Sapendo che la strada è ancora lunga, accidentata e a tratti minata. Però quello che Abiy Ahmed ha fatto finora per l’Etiopia e per l’Africa intera vale già il riconoscimento per la pace portata in un angolo di mondo devastato. L’hanno chiamata Primavera abissina, anche se la definizione non ha portato molta fortuna alle rivoluzioni democratiche scoppiate dal Nordafrica al Medio oriente nel corso dell’ultimo decennio. ERITREA. Che il leader etiope avesse combinato qualcosa di epocale lo si era capito l’8 luglio dell’anno scorso, quando ad Asmara il dittatore nemico Isaias Afewerki aveva abbracciato il collega 43enne che aveva accettato i termini dell’accordo del 2000, fino ad allora mai applicato. E la prima conseguenza è stata la riapertura delle rispettive ambasciate. Vale la pena ricordare che per trent’anni, dal 1961 al 1991, in Eritrea si è combattuta una guerra per l’indipendenza da quell’Etiopia che se l’era annessa. Dopodiché dal ’98 al 2000 c’era stato un altro sanguinoso conflitto, con 90 mila vittime, a cui era seguito quell’accordo di pace rimasto però lettera morta fino alla decisione di Abiy di renderlo operativo, rinunciando alla rivendicazione territoriale nella zona di confine di Badme. PROBLEMI. Come ha titolato il New York Times, Abiy ha vinto il premio Nobel ma adesso deve meritarselo. Al di là dell’Eritrea, ci sono diverse cosette da mettere a posto in Etiopia. Questo grande Paese di oltre 100 milioni di abitanti sul Corno d’Africa, senza sbocchi al mare (ecco un altro buon motivo per fare pace con l’Eritrea), è da sempre paralizzato dagli scontri e dalle rivalità delle diverse etnie. Abiy ha tra i suoi ambiziosi obiettivi quelli di creare un Paese davvero unito, impresa che per molti sembra ancora un’utopia. Nei tre anni precedenti all’insediamento del nuovo primo ministro c’erano stati violenti scontri nelle piazze tra l’etnia oromo e quella tigrina, di cui faceva parte l’ex presidente Hailé Mariàm Desalegn. Lo stato di emergenza derivante da questa situazione e la progressiva deriva dittatoriale di un Paese allo stremo hanno portato alla scelta di Abiy, di etnia oromo, quale primo ministro. Il punto è che tutto questo è avvenuto senza un passaggio elettorale, anche se la politica riformista che ha caratterizzato il nuovo leader avrà come sbocco già fissato la convocazione degli etiopi alle urne nel 2020. L’appoggio garantito tanto dagli oromo quanto degli Amhara, le due etnie principali, ha permesso ad Abiy di compattare il Fronte democratico rivoluzionario del popolo etiope (Eprdf), il partito da cui dovrebbe partire il superamento delle divisioni etniche. Più facile a dirsi che a farsi, in realtà, visto che, in attesa delle elezioni, in Etiopia i contrasti permangono. Soprattutto tra i tigrini del confine con l’Eritrea, assai restii, per usare un eufemismo, a mettere in pratica l’accordo sbloccato da Abiy che per questo si è portato a casa il Nobel. IL TEST. Abiy ha in mente di trasformare il partito in qualcosa di completamente diverso. «Il vero test del progresso effettivamente registrato da Abiy - ha scritto il New York Times - ci sarà nel maggio del 2020, quando sono state fissate le elezioni generali. Il primo ministro e i suoi più stretti collaboratori hanno annunciato il piano di sostituire l’Eprdf con il Partito della prosperità etiope, che nelle intenzioni del leader dovrebbe essere un partito di unità nazionale piuttosto che una coalizione di partiti a base etnica. Ma c’è un discreto numero di movimenti etno-nazionalisti che hanno tutta l’intenzione di opporsi a questo progetto. A cominciare da gruppi storici come il Fronte di liberazione degli oromo e il Fronte di liberazione nazionale Ogaden, oltre al più recente Movimento nazionale degli Amhara». LE PROSPETTIVE. Non basta certo un premio Nobel a risolvere la situazione in Etiopia e in Eritrea. Ma di sicuro aiuta a dare forza e prestigio a questo giovane politico riformatore che ha saputo muovere i primi passi verso una direzione che a queste latitudini sembrava impossibile. L’Italia, che per motivi storici è ancora molto legata con i Paesi del Corno d’Africa, registra gli sviluppi con attenzione. «Guardiamo con grande ammirazione e profondo interesse alla svolta», ha detto il presidente Sergio Mattarella. Chi ben comincia... • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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