<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">

LA SCOMMESSA PERSA SULLA CINA

Xi Jinping incoronato presidente a vita della Repubblica popolare cinese. ANSA/AP PHOTO/NG HAN GUAN
Xi Jinping incoronato presidente a vita della Repubblica popolare cinese. ANSA/AP PHOTO/NG HAN GUAN
Xi Jinping incoronato presidente a vita della Repubblica popolare cinese. ANSA/AP PHOTO/NG HAN GUAN
Xi Jinping incoronato presidente a vita della Repubblica popolare cinese. ANSA/AP PHOTO/NG HAN GUAN

L’Occidente ha perso la sua scommessa sulla Cina. Ma la cosa più grave è che pensa di averla vinta. Almeno a giudicare dalle reazioni, un po’ troppo low profile, all’annuncio che Xi Jinping ha fatto a proposito della rivoluzione istituzionale adottata dal partito comunista della repubblica popolare: non ci sarà più il limite dei due mandati per il presidente cinese. La scommessa occidentale, fatta un quarto di secolo fa, su una possibile evoluzione democratica di Pechino dopo il via libera convinto all’economia di mercato è quindi irrimediabilmente perduta. Come ha scritto The Economist, il passaggio da autocrazia a dittatura è lo sbocco inevitabile di questa decisione. «Era dai tempi di Mao - scrive il settimanale - che un leader cinese non aveva così tanto potere in un modo così palese. Questo non è un grande cambiamento soltanto per la Cina ma è anche la prova che la scommessa fatta dall’Occidente 25 anni fa è stata persa». Mala tempora currunt per le democrazie occidentali. Rispetto a 25 anni fa, per dire, è sparito il monopolio del modello istituzionale ed economico. Cioè, è sempre stato fuori discussione, e lo pensava anche Pechino, almeno dal punto di vista economico, che il sistema di valori griffato Stati Uniti ed Europa fosse il mix ideale di efficienza e sostenibilità tale da essere guardato come sistema ispiratore da tutti gli stati del mondo. A cominciare dalla crescente potenza cinese che, pur non avendo mai provato a inserire una scheda elettorale in un’urna, ha salvato se stessa concedendo ai propri sudditi/cittadini il diritto ad arricchirsi. Mica poco per un Paese regolato, ufficialmente, dall’ideale comunista che in teoria dovrebbe respingere ogni lusinga capitalista. Invece, per fare uscire dalla fame quel miliardo e passa di cinesi cresciuti tra il martello di Mao e l’incudine della povertà criminale imposta dal sistema, Deng Xiao Ping e i successori hanno adottato riforme economiche tali da trasformare il Paese in una potenza mondiale capace di fare concorrenza agli Stati Uniti. E da Washington le aperture sono state significative, confidando sul fatto che, una volta assaporate le virtù del capitalismo, i cinesi iniziassero a prendere confidenza con la democrazia. Non è bastata la repressione feroce di piazza Tienanmen per togliere all’Occidente l’illusione di trascinare nell’orbita liberal democratica anche il più grande Paese comunista del pianeta. Anzi, quelle proteste sembravano il primo vagito di una rivolta che prima poi avrebbe finito per attingere dalle risorse accumulate con le regole capitalistiche la linfa per nutrire la rivoluzione del terzo millennio. La decisione di Xi Jinping rompe definitivamente ogni speranza, senza peraltro che nessuno, da Bruxelles a Washington, si sia degnato di fare un plissè. Anzi, c’è di peggio. Donald Trump, lungi dal criticare la svolta dittatoriale del collega cinese, l’ha addirittura elogiata. «Xi Jinping presidente a vita? È un grande - ha dichiarato a caldo il presidente americano intervenendo a un incontro di finanziatori repubblicani a Mar-a-lago, la sua residenza in Florida -. Sì, ora Xi è presidente a vita, è stato capace di farlo, e penso sia un grande. Forse un giorno anche noi ci daremo questa possibilità». Se il Commander in Chief della patria della libertà arriva ad auspicare una svolta cinese anche per la democrazia americana, vuol dire che l’Occidente non solo ha perso la scommessa fatta su Pechino, ma che Pechino sta vincendo la sua. E cioè quella di superare Usa e America non solo dal punto di vista economico, ma anche di arrivare a imporre il proprio modello quale esempio di efficienza. Insomma, l’implicazione pericolosa di questo ragionamento è semplice: levando al capitalismo gli orpelli e i freni imposti dalla democrazia si arriva a costruire un sistema funzionale in grado di sconfiggere la crisi e promuovere lo sviluppo. Avanti di questo passo, non soltanto i cinesi continueranno a non mettere la scheda nell’urna neanche per le assemblee di condominio, ma l’Occidente importerà le pratiche dittatoriali e distribuirà incarichi a vita. L’ambizione di Trump, dichiarata in un impeto di sincerità senza rete, è la dichiarazione di resa di un mondo libero che non ritiene l’incarico a vita a Xi Jinping una minaccia ma un’ovvia conseguenza della stabilizzazione del potere in Cina mascherata come lotta contro la corruzione all’interno del partito comunista. Fine della scommessa, Pechino incassa la posta in gioco. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Suggerimenti