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LA PRIMAVERA DEL POPULISMO

Manifestanti a Praga contro il primo ministro della Repubblica Ceca, Andrej Babis, in occasione del 50° anniversario della Primavera di Praga. Tra le accuse c’è quella di avere riaperto le porte ai comunisti. EPA/MARTIN DIVISEKBabis pronuncia il discorso di commemorazione. EPA/MARTIN DIVISEK
Manifestanti a Praga contro il primo ministro della Repubblica Ceca, Andrej Babis, in occasione del 50° anniversario della Primavera di Praga. Tra le accuse c’è quella di avere riaperto le porte ai comunisti. EPA/MARTIN DIVISEKBabis pronuncia il discorso di commemorazione. EPA/MARTIN DIVISEK
Manifestanti a Praga contro il primo ministro della Repubblica Ceca, Andrej Babis, in occasione del 50° anniversario della Primavera di Praga. Tra le accuse c’è quella di avere riaperto le porte ai comunisti. EPA/MARTIN DIVISEKBabis pronuncia il discorso di commemorazione. EPA/MARTIN DIVISEK
Manifestanti a Praga contro il primo ministro della Repubblica Ceca, Andrej Babis, in occasione del 50° anniversario della Primavera di Praga. Tra le accuse c’è quella di avere riaperto le porte ai comunisti. EPA/MARTIN DIVISEKBabis pronuncia il discorso di commemorazione. EPA/MARTIN DIVISEK

L’orologio della storia si diverte a truccare le lancette. Cinquant’anni fa, a Praga, i carri armati sovietici dell’ortodossia comunista stroncarono la Primavera sognata da Alexander Dubcek e da un popolo che osava sottrarsi al giogo di Mosca. Tic, tac, le lancette ne hanno fatti di giri, da quando il drammaturgo Vaclav Havel, alla caduta del muro di Berlino, ha potuto davvero guidare la Repubblica Ceca (si chiama così dal 1993, da quando la Cecoslovacchia si divise pacificamente in due, Repubblica Ceca, appunto, e Slovacchia) verso un sogno di libertà fino ad allora negato. Tic, tac, le lancette continuano a battere in modo bizzarro e la settimana scorsa diverse persone si sono ritrovate in piazza San Venceslao per ricordare il 50° dalla repressione della Primavera di Praga e, nel contempo, per protestare contro l’apertura al partito comunista di Boemia e Moravia da parte del primo ministro ceco Andrej Babis, titolare di un patrimonio personale di oltre 4 miliardi di dollari grazie ai quali è il secondo uomo più ricco del Paese, oltre che editore di due quotidiani nazionali. Ricapitolando: a 50 anni dalla repressione dei carri sovietici, a Praga c’è un governo retto da un magnate pieno di soldi e tenuto in piedi dai voti del partito comunista, a cui peraltro negli anni 80 era stato iscritto. Il vento del populismo soffia forte anche in Repubblica Ceca, uno dei Paesi che fanno parte del gruppo di Visegrad e che si oppone strenuamente alle quote per l’immigrazione auspicate dall’Unione europea, da cui Praga peraltro ha incassato preziosi contributi capaci a suo tempo di rimettere in moto l’economia. «Il movimento di Babis - ha ricordato Raffaele Oriani sul Venerdì di Repubblica - si chiama Ano, che in ceco significa “Sì” ma è anche acronimo di Azione dei cittadini insoddisfatti. Nato dal nulla nel 2011, alle elezioni del 2013 ha preso i l18 per cento e quattro anni dopo il 30, diventando il primo partito del Paese con venti punti di distacco sul secondo. Ora, la repubblica Ceca nel 2017 ha avuto un tasso di crescita del 4,5 per cento, la disoccupazione più bassa d’Europa, salari in aumento e, quanto a “migranti”, oltre 10 milioni di turisti (in crescita del 9 per cento) ma solo 1.190 aspiranti rifugiati (respinti al 90 per cento)». La strana accoppiata Babis-comunisti sembra far saltare il logico accostamento che la figura di questo tycoon sembra far ricordare, vale a dire Silvio Berlusconi in Italia e Donald Trump negli Usa. In realtà il vento populista ha saputo mescolare vecchi concetti di destra e sinistra, riunendo sotto le stesse bandiere personaggi e partiti che, in un’altra era, non avrebbero avuto granché da spartire. Succede così che dalla rivoluzione di velluto, che nell’89 seppe rovesciare decenni di comunismo eterodiretto, grazie ai sogni di libertà e democrazia di personaggi come Havel, si sia passati a questo ircocervo della politica che elabora la libertà seguendo nuovi parametri che i manifestanti considerano pericolosi. Lo hanno fatto capire a Praga, quando sono sfilati davanti alla sede della radio per ricordare le 400 vittime della repressione sovietica. È stato in quel frangente, così significativo per la storia del Paese, che hanno evidenziato con striscioni e slogan quella che ritengono la contraddizione feroce di un governo “popucomunista”. Sì, perché l’esecutivo di Babis, formato dall’intesa tra il movimento populista Ano e il partito socialdemocratico Cssd, l’ultima volta ha superato le forche caudine del voto di fiducia solo grazie al via libera ottenuto, appunto, dal partito comunista Kscm che non fa mistero delle sue nostalgie sovietiche. «Chi governa con i comunisti - hanno avuto gioco facile a scrivere sui cartelli i manifestanti - disonora le vittime dell’occupazione del 1968». Il presidente della Camera, Radek Vondracek, liquida la questione col fatto che destra e sinistra non esistono più: «Il nostro movimento ha il compito do rendere efficiente l’azione dello Stato e serena la vita dei cittadini». E il no ai migranti unisce miliardari e comunisti. Prosit. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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