<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">

L’ULTIMO EUROPEISTA

Emmanuel Macron nel giorno del funerale di Charles Aznavour. In questo momento il presidente francese si propone come rappresentante dei valori europeisti che sono invece contestati dai movimenti sovranisti. LUDOVIC MARIN/AFP) Prima con Macron c’era la Merkel ma ora è indebolita. C. SIMON/AFP
Emmanuel Macron nel giorno del funerale di Charles Aznavour. In questo momento il presidente francese si propone come rappresentante dei valori europeisti che sono invece contestati dai movimenti sovranisti. LUDOVIC MARIN/AFP) Prima con Macron c’era la Merkel ma ora è indebolita. C. SIMON/AFP
Emmanuel Macron nel giorno del funerale di Charles Aznavour. In questo momento il presidente francese si propone come rappresentante dei valori europeisti che sono invece contestati dai movimenti sovranisti. LUDOVIC MARIN/AFP) Prima con Macron c’era la Merkel ma ora è indebolita. C. SIMON/AFP
Emmanuel Macron nel giorno del funerale di Charles Aznavour. In questo momento il presidente francese si propone come rappresentante dei valori europeisti che sono invece contestati dai movimenti sovranisti. LUDOVIC MARIN/AFP) Prima con Macron c’era la Merkel ma ora è indebolita. C. SIMON/AFP

Perde un ministro alla settimana, il suo indice di gradimento tra i francesi è precipitato al 31 per cento e la forza del suo movimento En Marche! sembra essersi esaurita. Eppure Emmanuel Macron resta l’ultimo baluardo degli europeisti: alle prossime elezioni per il parlamento dell’Unione il presidente francese sarà idealmente l’unico alfiere attorno al quale faranno fronte comune i sostenitori del Vecchio continente contro la marea sovranista e identitaria democraticamente unita sotto i vessilli del premier ungherese Viktor Orban e di quello italiano (anche se formalmente è vice) Matteo Salvini. Il modello di democrazia illiberale alimentato dai Paesi dell’est Europa, strategicamente sostenuto da Vladimir Putin e ora esteso a macchia d’olio anche verso sud, sta incontrando i favori dell’elettorato. L’Unione europea dei 27 paesi, anche a causa di un elefantiaco apparato che l’ha distanziata parecchio dal sentire comune dei cittadini che dovrebbe rappresentare, ha perso lo spirito che indusse gli italiani a stringere la cinghia pur di entrare a fare parte del club dell’euro fin dall’inizio. E l’esplosione dei fenomeni migratori attraverso il Mediterraneo e i Balcani hanno fatto il resto. Integrazione è diventata una parolaccia, difesa identitaria è il nuovo mantra. E chi, come la premier tedesca Angela Merkel, ha aperto le porte ai profughi perché spinta da una sorta di afflato umanitario sostenuto dalla convinzione che la Germania potesse permettersi l’assorbimento di un buon numero di siriani (per citare il Paese fatto a pezzi dalla guerra civile e per anni prigioniero tra l’incudine del dittatore Assad e il martello dello Stato islamico), è stato costretto a fare marcia indietro per evitare di finire travolto dai partiti di estrema destra e dalla stessa insofferenza all’interno della Cdu. Morale della favola, se prima l’idea di Europa unita rimaneva poggiata sulle fondamenta dei due stati membri più importanti, Francia e Germania, appunto, adesso è rimasto solo il giovane Macron e sventolare convinto la bandiera stellata a sfondo blu. Peccato che i suoi coraggiosi provvedimenti politici in patria abbiano finito con l’alienargli i favori della maggioranza che alle ultime presidenziali lo avevano preferito alla sovranista Marine Le Pen. La sua vicinanza ai cosiddetti poteri forti, in quanto ex enfant prodige della grande finanza transalpina, ha finito col nuocergli quando è stato il momento, per esempio, di imporsi sui sindacati e abolire lo statuto speciale dei ferrovieri. E di disboscare un po’ le norme arretrate del codice del lavoro. Insomma, il tentativo di modernizzare la Francia storicamente aggrappata a un modello più statalista che liberista si è trasformato in un’emorragia di consenso e di collaboratori. Emblematiche sono state le dimissioni del popolare ministro dell’ecologia, Nicolas Hulot, uscito dal governo sbattendo la porta in aperto contrasto col presidente accusato di rimanere inerte e insensibile ai temi ambientali. Ma l’elenco è lungo e il fatto, come detto, che l’indice di gradimento sia precipitato al 31 per cento, addirittura un punto in meno rispetto al suo odiatissimo predecessore François Hollande, la dice lunga su quelle che sono le prospettive delle prossime elezioni europee. Con l’Inghilterra fuori gioco per via della Brexit, con la Germania ostaggio dell’avanzata di Afd e di altri movimenti identitari ed euroscettici che hanno indotto la Cdu a mettere sotto tutela la Merkel, il voto della prossima primavera diventa davvero cruciale per l’Europa. Non è più destra contro sinistra, popolari contro socialisti: la partita è populisti identitari contro europeisti unitari. In questo momento la partita sembra segnata a favore dei primi, dati in avanzata ovunque. Macron si propone come elemento unificante dei secondi, che al momento paiono all’angolo. L’unione fiscale, la gestione dell’asilo ai migranti, un bilancio per l’eurozona, tutti concetti cari al presidente francese che però fanno venire l’orticaria a Orban a Salvini. Comunque vada, l’Europa e l’Occidente non saranno più gli stessi. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Suggerimenti