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ISIS IN FUGA DA RAQQA LIBERATA

Due combattenti delle Forze democratiche siriane si fanno un selfie all’interno dello stadio di Raqqa. L’ormai ex  capitale dello Stato Islamico è stata conquistata ma l’Isis non può ancora dirsi sconfitto. ANSA/AP PHOTO/ASMAA WAGUIHI combattenti delle Forze democratiche siriane entrano a Raqqa
Due combattenti delle Forze democratiche siriane si fanno un selfie all’interno dello stadio di Raqqa. L’ormai ex capitale dello Stato Islamico è stata conquistata ma l’Isis non può ancora dirsi sconfitto. ANSA/AP PHOTO/ASMAA WAGUIHI combattenti delle Forze democratiche siriane entrano a Raqqa
Due combattenti delle Forze democratiche siriane si fanno un selfie all’interno dello stadio di Raqqa. L’ormai ex  capitale dello Stato Islamico è stata conquistata ma l’Isis non può ancora dirsi sconfitto. ANSA/AP PHOTO/ASMAA WAGUIHI combattenti delle Forze democratiche siriane entrano a Raqqa
Due combattenti delle Forze democratiche siriane si fanno un selfie all’interno dello stadio di Raqqa. L’ormai ex capitale dello Stato Islamico è stata conquistata ma l’Isis non può ancora dirsi sconfitto. ANSA/AP PHOTO/ASMAA WAGUIHI combattenti delle Forze democratiche siriane entrano a Raqqa

La tentazione di gridare alla vittoria è forte. E pure giustificata. Perché quando i militanti delle forze democratiche siriane, filo Usa e a maggioranza curda, hanno annunciato la liberazione di Raqqa dagli scherani assassini dell’Isis, il mondo libero ha reagito con un gioioso sollievo. Ma se la gioia è comprensibile, dal momento che un’entità statuale gestita dagli estremisti islamici del Califfo dalla Siria a Baghdad era veramente un insulto per l’umanità, il sollievo conviene rinviarlo ancora un po’, dal momento che la cacciata dei militanti del Califfo dalle enclavi di Mosul, in Iraq, e di Raqqa, in Siria, non è sinonimo di sconfitta definitiva dello Stato islamico.

Certo, «la liberazione di Raqqa – come ha sottolineato l’alta rappresentante dell’Ue per la politica estera, Federica Mogherini - è un passo decisivo per eliminare la minaccia di Isis in Siria e Iraq e liberare la popolazione civile dal governo imposto». Come ha riassunto efficacemente il New York Times, il territorio dove batteva la bandiera nera si è ridotto da una zona grande come il Portogallo a una manciata di roccaforti incastonate al confine tra Siria e Iraq. «Ma piuttosto che dichiarare sconfitti lo Stato Islamico e la sua virulenta ideologia - scrive il quotidiano Usa - la maggior parte dei professionisti arabi e occidentali dell’antiterrorismo sono concentrati su una nuova e letale versione del gruppo jihadista».

E a questo proposito vengono ricordate le parole del portavoce dello Stato Islamico, Abu Muhammed al-Adnani, pronunciate poco prima che l’attacco condotto da un drone americano ne provocasse la morte l’anno scorso: «La sconfitta è la perdita della forza di volontà e del desiderio di combattere - ha fatto in tempo a dire agli occidentali -. Noi saremmo sconfitti e voi sareste i vincitori solo se riuscirete a rimuovere il Corano dal cuore dei musulmani».

E questa capacità di far leva sulla lettura delirante dell’Islam è stata sottovalutata fin dall’inizio da parte soprattutto degli americani, che nel 2011 iniziarono a ritirare il grosso delle truppe dall’Iraq. In quel momento si muovevano i primi passi concreti di questa nuova realtà, allora chiamata Stato Islamico dell’Iraq e favorita dallo scontro tra gli sciiti dominanti e Baghdad e i sunniti messi al bando dalle istituzioni in quanto sospettati di essere ancora la spina dorsale del partito baathista di Saddam Hussein. Gli Stati Uniti commisero un tragico errore di valutazione nei confronti di un gruppo che allora poteva contare, secondo le stime dell’intelligence, su circa 700 militanti effettivi. «Quel gruppo - ricorda il New York Times - era considerato una minaccia così debole da convincere gli Stati Uniti a ridurre la taglia per la cattura del suo leader da 5 milioni ad appena 100 mila dollari».

Vale la pena ricordare che adesso, nonostante la perdita di gran parte del territorio, a partire dalle due capitali, Raqqa e Mosul, l’Isis ha un organico compreso tra 6.000 e 10.000 combattenti, secondo le ultime stime americane. E cioè tra le 8 e le 14 volte rispetto alle forze in campo nel 2011.

«Questo è il confronto da fare - ha dichiarato al New York Times Daniel L. Byman, studioso dei gruppi jihadisti del Brookings Institution’s Center -. Questo resta un gruppo molto forte, che ha un alto numero di simpatizzanti, con le idee che circolano in network organizzati. E quindi ha ancora un grande potenziale distruttivo nonostante sia stato scacciato dai territori di riferimento».

La capacità di mobilitare militanti professionisti o lupi solitari in Europa e in tutto il mondo è purtroppo già stata sperimentata. Solo nel 2017, ricorda sempre il New York Times, l’Isis ha rivendicato tre attacchi in Gran Bretagna dove sono morte 37 persone, la strage della discoteca di Istanbul (39 morti) e attentati in altri sette Paesi. Proprio mentre stava per perdere il controllo di Mosul, l’Isis portava a termine l’attentato sulle ramblas di Barcellona, con altri 13 vittime. La strada per cancellare l’orrore dell’Isis dalla faccia della terra è ancora lunga.

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