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INCUBO BIRMANIA
PROFUGHI IN FUGA DAL TERRORE

In fuga dal terrore della Birmania. I profughi Rohingya stanno riparando in  BangladeshUn campo profughi in Bangladesh: la situazione è drammatica
In fuga dal terrore della Birmania. I profughi Rohingya stanno riparando in BangladeshUn campo profughi in Bangladesh: la situazione è drammatica
In fuga dal terrore della Birmania. I profughi Rohingya stanno riparando in  BangladeshUn campo profughi in Bangladesh: la situazione è drammatica
In fuga dal terrore della Birmania. I profughi Rohingya stanno riparando in BangladeshUn campo profughi in Bangladesh: la situazione è drammatica

Aung San Suu Kyi di dittature e persecuzioni si intende parecchio. Ha vissuto sulla sua pelle il dominio spietato dei militari in Birmania e ora che la donna vincitrice del Nobel per la pace è consigliere di Stato nel suo Paese dovrebbe spendersi per porre fine a quella che l’Onu ha definito una «situazione umanitaria catastrofica». Il riferimento è all’esodo di 370 mila profughi della comunità musulmana Rohingya, fuggiti in Bangladesh per evitare il massacro che i militari e gli sgherri delle milizie più o meno ufficiali stanno perpetrando con violenza inaudita.

«I resoconti sono orripilanti - scrive The Economist -. I soldati e i miliziani circondano i villaggi, violentano le donne, decapitano i bambini, chiudono gli uomini nelle case e appiccano il fuoco. L’esercito birmano non permette agli osservatori di entrare nella parte a nord dello stato di Rakhine, vicino al confine col Bangladesh, e così è difficile avere una stima corretta delle atrocità commesse».

Secondo i dati ufficiali della Birmania, al momento ci sarebbero circa 400 vittime ma le organizzazioni non governative descrivono un quadro diverso, fatto di continue violenze, di diritti umani violati e di roghi di villaggi. Il fatto che questa situazione di emergenza umanitaria descritta dagli osservatori Onu sia ascrivibile alla Birmania, il Paese ora guidato dal Nobel Aung San Suu Kyi, lascia quantomeno perplessi. «La leader del governo birmano - scrive The Economist - non è più sensibile nei confronti della situazione dei Rohingya di quanto non lo fossero i dittatori militari di Myanmar nei suoi confronti. Lei è arrivata a negare che ci sia un abuso sistematico da parte dei servizi di sicurezza, affermando semplicemente che questi ultimi stanno semplicemente tentando di dare la caccia ai militanti organizzati Rohingya che hanno attaccato le posizioni dell’esercito e della polizia, provocando diverse vittime».

Questa posizione molto discutibile sta incidendo sull’immagine finora immacolata della leader birmana. «Aung San Suu Kyi perseguita i musulmani - ha detto senza giri di parole l'ex ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner -. È un massacro: non è perché hai il premio Nobel che sei puro. Perseguita i musulmani sul suo territorio e questi sono atti imperdonabili. Bisogna agire affinché questa situazione non perduri». Kouchner, fondatore di Medici senza Frontiere (Msf), arriva a chiedere che le venga ritirato il Premio Nobel, unendosi così alle oltre 364.000 firme raccolte da una petizione in questo senso. Il punto è che in un Paese a netta maggioranza buddista, prendere posizione a favore di questa frangia musulmana non è popolare. Nel 2012 scoppiarono i primi scontri tra Rohingya e Rakhines, un gruppo buddista che vive nella medesima regione, i media scrissero che a provocare tutto furono i musulmani, anche se i riscontri farebbero pensare al contrario.

E adesso il confine con il Bangladesh si sta trasformando in un gigantesco campo profughi. La primo ministro del Bangladesh Sheikh Hasina ha rivolto un appello alla Birmania affinché cessino le violenze contro la popolazione musulmana nello Stato di Rakhine. «La Birmania - ha detto - dovrebbe aprire una inchiesta per identificare quelli che sono veramente colpevoli». Toccherebbe a San Suu Kyi fare qualcosa.

Marino Smiderle

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