<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">

IL VOLO INFINITO DELL’AUSTRALIA

Il volo di questo pesce gonfiabile su una spiaggia incontaminata rappresenta idealmente i numeri da record inanellati in ventisette anni di sviluppo economico dall’Australia, capace di sfruttare al meglio anche l’immigrazioneIl premier australiano Scott Morrison. EPA/DAVID CROSLING
Il volo di questo pesce gonfiabile su una spiaggia incontaminata rappresenta idealmente i numeri da record inanellati in ventisette anni di sviluppo economico dall’Australia, capace di sfruttare al meglio anche l’immigrazioneIl premier australiano Scott Morrison. EPA/DAVID CROSLING
Il volo di questo pesce gonfiabile su una spiaggia incontaminata rappresenta idealmente i numeri da record inanellati in ventisette anni di sviluppo economico dall’Australia, capace di sfruttare al meglio anche l’immigrazioneIl premier australiano Scott Morrison. EPA/DAVID CROSLING
Il volo di questo pesce gonfiabile su una spiaggia incontaminata rappresenta idealmente i numeri da record inanellati in ventisette anni di sviluppo economico dall’Australia, capace di sfruttare al meglio anche l’immigrazioneIl premier australiano Scott Morrison. EPA/DAVID CROSLING

C’è un posticino, si fa per dire, nel mondo in cui tutto va bene, o quasi. Il posticino in questione è in realtà piuttosto grande, parecchio lontano e abitato da appena 25 milioni di persone. Benvenuti in Australia, l’unico paese al mondo che non avverte gli spasmi di una recessione da un quarto di secolo, 27 anni per essere precisi. Correva l’anno 1991, il Muro di Berlino era crollato da un paio d’anni ma l’Unione Sovietica esisteva ancora, mentre internet era ancora di là da venire. The Economist ha dedicato la copertina dell’ultimo numero al miracolo di un’Australia che mai come adesso può essere rappresentata alla perfezione dal canguro che salta, anzi, verrebbe da dire vola, verso traguardi economici che non hanno eguali negli altri quattro continenti. «Redditi in crescita - riassume sempre The Economist - basso debito pubblico, un welfare state sostenibile, sostegno popolare per l’immigrazione e un vasto consenso per le politiche adottate nel tempo al fine di ottenere questi risultati. La maggior parte dei politici occidentali non sono neanche in grado di immaginare un posto in cui tutte queste virtuose condizioni possono coesistere. Fortunatamente non c’è bisogno di alcuno sforza di immaginazione perché un paese del genere esiste: l’Australia». Ventisette anni senza recessione e di crescita veloce sono una specie di miracolo. D’accordo, l’Australia è ricca di materie prime, il ferro per cominciare, ma ci vuole anche una ricetta politica condivisa ed efficace per costruire una crescita percentuale complessiva di tre volte superiore a quella realizzata dalla Germania. Se a questo si aggiunge che il reddito medio è cresciuto quattro volte di più di quello degli Stati Uniti e che il debito pubblico è al 41 per cento del Pil (non ditelo ai politici italiani), si capisce come a Sydney abbiamo tutte le carte in regola per festeggiare. Ma non è tutto. In questi anni un fattore che ha sconvolto le dinamiche sociali, e a cascata anche quelle elettorali, dei paesi occidentali è stato il boom dell’immigrazione. Dopodiché, se si considera che il 29 per cento degli australiani, come ricorda ancora The Economist, è nato al di fuori dei confini (il doppio rispetto al rapporto attualmente presente negli Stati Uniti), alla fine il concetto di “risorsa” per chi viene da fuori non può essere oggetto di scherno come invece è avvenuto in Italia nelle ultime ondate migratorie. Il segreto, se così si può dire, è quello di una politica migratoria pragmatica condivisa tanto dai liberali quanto dai laburisti che si sono alternati al governo e basata sulla selezione e sulle esigenze nazionali. Nel corso degli anni si sono aperte le porte a persone a cui poi è stata garantita la cittadinanza, fino a costituire una società molto variegata. Nello stesso tempo oggi il premier liberale Scott John Morrison non esita a usare metodi, come dire, molto più duri di quelli auspicati e messi in pratica nel Mediterraneo dal vicepremier italiano Matteo Salvini, per respingere i barconi non autorizzati. Certo, anche a queste latitudini ci sono delle falle. Gli effetti del global warming qui si toccano con mano e la siccità estesa è una piaga: tuttavia il governo, sposando un po’ l’approccio di Trump, non se ne cura e respinge l’appello degli scienziati a “tagliare” il carbone. I numeri però tornano e, anche se i premier si cambiano con frequenza eccessiva, l’Australia è al momento l’esempio che tutti invidiano ma che nessuno riesce a copiare. Eppure non ci è voluto molto a prevedere un coinvolgimento massiccio delle polizze private, con contributi sempre a carico del datore di lavoro, da affiancare al pubblico per costruire un sistema pensionistico che regge all’usura del tempo. Paese che vai, elettori scontenti che trovi: nonostante i numeri dicano il contrario, i cittadini critici nei confronti del governo di turno sono cresciuti. Il sistema sostanzialmente bipartitico ha subito qualche picconata dall’80 a oggi, tanto che i due partiti principali hanno perso insieme il 20%. Del resto, anche da queste parti vale il vecchio detto, rovesciato a causa della siccità: non piove, governo ladro. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Suggerimenti