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IL POPULISMO SOFFIA IN BRASILE

Una manifestazione del Partito dei lavoratori organizzata per sostenere la candidatura di Lula alla presidenza del Brasile. L’ex presidente è stato però condannato ed è in carcere: non potrà ricandidarsi. ANSA/AP PHOTO/NELSON ANTOINEJair Bolsonaro, candidato di destra con chance di successo
Una manifestazione del Partito dei lavoratori organizzata per sostenere la candidatura di Lula alla presidenza del Brasile. L’ex presidente è stato però condannato ed è in carcere: non potrà ricandidarsi. ANSA/AP PHOTO/NELSON ANTOINEJair Bolsonaro, candidato di destra con chance di successo
Una manifestazione del Partito dei lavoratori organizzata per sostenere la candidatura di Lula alla presidenza del Brasile. L’ex presidente è stato però condannato ed è in carcere: non potrà ricandidarsi. ANSA/AP PHOTO/NELSON ANTOINEJair Bolsonaro, candidato di destra con chance di successo
Una manifestazione del Partito dei lavoratori organizzata per sostenere la candidatura di Lula alla presidenza del Brasile. L’ex presidente è stato però condannato ed è in carcere: non potrà ricandidarsi. ANSA/AP PHOTO/NELSON ANTOINEJair Bolsonaro, candidato di destra con chance di successo

Il vento del populismo soffia forte anche in Brasile. Dove peraltro i motivi sono anche comprensibili, considerando che gli ultimi due presidenti eletti, Luiz Inacio Lula da Silva e Dilma Rousseff (il primo condannato a 12 anni per corruzione e la seconda deposta dal senato), sono stati travolti dagli scandali. E che pure Michel Temer, subentrato alla Rousseff nel 2016, è finito nel tritacarne delle accuse. Insomma, a un paio di mesi dal primo turno delle presidenziali, a Brasilia tira un’aria poco salubre per i partiti tradizionali. Al punto che l’Economist attribuisce parecchie chance di successo a un candidato di destra che giudica pericoloso per la democrazia: Jair Bolsonaro. Il punto è che, allo stato dell’arte, non esiste un candidato favorito nei sondaggi. O meglio, uno dato per sicuro vincitore ci sarebbe ma ha un paio di piccoli ma non trascurabili difetti: si chiama Lula e non può candidarsi per via di una legge, fatta approvare da lui stesso quando era presidente, che impedisce di candidarsi a chi ha subito condanne. Tenuto conto che l’ex presidente brasiliano è stato condannato a 12 anni in secondo grado per corruzione, la mossa del Partito dei lavoratori di ricandidarlo alla guida del Paese resterà nel libro dei sogni. Ergo, nessuno dei candidati in lizza al momento va oltre il 20 per cento delle indicazioni di voto. Motivo per cui Bolsonaro in questo momento è considerato il front runner che, al secondo turno, potrebbe avere ottime chance di diventare l’autoritario presidente del Brasile. Autoritario perché questo parlamentare del Partito social liberale (Psl), una formazione di destra, non ha mai nascosto le sue simpatie, diciamo così, per la dittatura che ha retto il Brasile dal 1964 al 1985. «Nel 2016 - scrive l’Economist - Bolsonaro dedicò il suo voto per l’impeachment dell’allora presidente Rousseff a Carlos Alberto Brilhante Ustra, già comandante della polizia e responsabile di 500 casi di tortura e di 40 assassinii durante la dittatura brasiliana». E nel suo tributo a Ustra, ricorda ancora l’Economist, Bolsonaro è arrivato a dire che i valori di quella dittatura sarebbero un buon antidoto contro la corruzione di oggi. In un contesto economico che sta cercando di dimenticare la peggiore recessione di sempre, che negli anni 2014-2016 ha messo in ginocchio il Paese tra l’altro reduce da un 2016 dove si è toccato il record di omicidi arrivati a quota 62.517, il voto di protesta diventa fisiologico. Ma il background di Bolsonaro è, come dire, qualcosa di più di una protesta. Le cronache politiche degli ultimi anni hanno registrato le dichiarazioni più inquietanti di quello che fino a ieri veniva relegato al ruolo di bizzarro e oscuro parlamentare ma che adesso sta mettendo in saccoccia discrete probabilità di diventare presidente. Meglio un figlio morto che gay, disse tra l’altro nel 2011. E a una collega parlamentare nel 2014 arrivò a dire che non l’avrebbe mai violentata perché era davvero orribile. Per lui un poliziotto che non uccide non è un poliziotto e nel suo programma c’è il progetto di abbassare l’età per la responsabilità criminale a 14 anni. Se per l’Economist, e non solo per l’Economist, Bolsonaro, che tra l’altro si è scelto come vice il generale in pensione Hamilton Mourao (un tipo che l’anno scorso dichiarò che se le altre istituzioni non erano in grado di risolvere i problemi ci avrebbe pensato l’esercito) è pericoloso per la democrazia, per una parte della classe imprenditoriale è invece una soluzione intrigante, considerata anche la sua recente conversione al liberalismo economico con l’idea di privatizzare alcune imprese di stato. Intanto il Partito dei lavoratori insiste nel riproporre Lula alla guida del Paese di nuovo. «Vogliono fare un’elezione presidenziale con le carte truccate - ha detto lo stesso Lula attualmente in carcere - escludendo il nome di chi è in testa alla preferenza popolare, vogliono inventare una democrazia senza popolo». Soffia forte il vento del populismo, insomma. Ma a a dargli forza sono state anche le dissennate e corrotte politiche di Lula e C. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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