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IL MESSICO SI AFFIDA AD “AMLO”

Andres Manuel Lopez Obrador, del Movimiento Regeneracion Nacional (Morena), celebra la sua vittoria alle ultime presidenziali nel centro di Città del Messico, la capitale di cui è stato sindaco. EPA/ALEX CRUZUna sostenitrice di Amlo festeggia in piazza. ANSA/AP/MARCO UGARTE
Andres Manuel Lopez Obrador, del Movimiento Regeneracion Nacional (Morena), celebra la sua vittoria alle ultime presidenziali nel centro di Città del Messico, la capitale di cui è stato sindaco. EPA/ALEX CRUZUna sostenitrice di Amlo festeggia in piazza. ANSA/AP/MARCO UGARTE
Andres Manuel Lopez Obrador, del Movimiento Regeneracion Nacional (Morena), celebra la sua vittoria alle ultime presidenziali nel centro di Città del Messico, la capitale di cui è stato sindaco. EPA/ALEX CRUZUna sostenitrice di Amlo festeggia in piazza. ANSA/AP/MARCO UGARTE
Andres Manuel Lopez Obrador, del Movimiento Regeneracion Nacional (Morena), celebra la sua vittoria alle ultime presidenziali nel centro di Città del Messico, la capitale di cui è stato sindaco. EPA/ALEX CRUZUna sostenitrice di Amlo festeggia in piazza. ANSA/AP/MARCO UGARTE

Non c’è due senza tre, dicono. E invece, dopo due sconfitte, al terzo tentativo Andres Manuel Lopez Obrador, per tutti Amlo, ce l’ha fatta. Sarà lui il primo presidente della storia recente del Messico a guidare un governo veramente di sinistra. E occorre dire che una grossa mano a conquistare la maggioranza assoluta, con il 53,8 per cento dei voti, gliel’ha data il “collega” che sta oltre il confine settentrionale, quel Donald Trump che non ha perso occasione, durante la campagna elettorale, di parlare male di Amlo, considerata una minaccia comunista. Salvo poi, una volta appresa la notizia della vittoria, twittare al mondo la felicità per la sua elezione: «Sono ansiosissimo di poter lavorare con lui - ha scritto il presidente degli Stati Uniti -. C’è molto che può essere fatto per il bene di Stati Uniti e Messico». Già, il rapporto tra Stati Uniti e Messico non è una questione secondaria. A ogni uscita di Trump contro Obrador in campagna elettorale corrispondevano voti in più per il candidato della sinistra. In realtà c’è qualcosa che unisce i due leader americani, almeno secondo una lettura che ne danno gli analisti più critici. Entrambi, con politiche diverse, farebbero parte di quello schieramento populista che, a livello globale, sta guadagnando terreno. Non a caso Amlo, che di tutto può essere sospettato tranne che di simpatie a destra, ha subito ringraziato Trump rispondendo però a tono agli auguri ricevuti: «Le relazioni tra i due grandi Paesi vicini - ha dichiarato in un’intervista alla tv Televisa - dovranno svilupparsi in un clima di reciproco rispetto e parità di condizioni, tenuto conto che negli Stati Uniti vivono 12 milioni di messicani». Non va dimenticato il cavallo di battaglia che Trump ha sempre ostentato in campagna elettorale, e cioè la costruzione di quel muro lungo il confine per poter controllare e reprimere il fenomeno dell’immigrazione clandestina. Per non parlare della riforma dell’area di libero commercio del Nord America (Nafta), che il presidente Usa vorrebbe più attenta agli interessi yankee. La vittoria di Amlo non è certo una sorpresa. I sondaggi lo davano in vantaggio da tempo e i principali sfidanti dei partiti tradizionali, Ricardo Anaya (Pan-Prd) e Josè Antonio Meade (Pri), pativano gli scandali e la corruzione legata alla gestione del presidente uscente, Enrique Pena Nieto. Il clamoroso e ampio successo permetterà ad Amlo di implementare senza ostacoli la propria politica legata a una maggiore attenzione al sociale. «Lopez Obrador - scrive La Jornada, quotidiano di sinistra messicano ripreso da Internazionale - vuole costruire un sistema di stato sociale, redistribuire la ricchezza, stanziare aiuti per l’agricoltura, creare nuovi posti di lavoro, garantire l’accesso all’istruzione superiore a tutti i giovani messicani, favorire l’inclusione di gruppi finora emarginati e fare in modo che lo stato torni in possesso delle risorse naturali del Paese». La sensazione dei più critici, o forse sarebbe meglio dire il timore, è quella di una scopiazzatura delle disastrose ricette chaviste già applicate con risultati drammatici in Venezuela. L’interessato si è preoccupato di tranquillizzare gli ambienti imprenditoriali, assicurando che sarà rispettato il sistema di regole esistenti. «Ha promesso agli operatori economici - ha scritto il New Yorker - di non aumentare le tasse sul carburante, sui medicinali e sull’elettricità e giura che non confischerà mai la proprietà privata. “Non faremo niente che vada contro le libertà”, dichiara. Promette però l’intervento dello stato, impegnandosi a sovvenzionare l’agricoltura». E i soldi che servono per sovvenzionare questa ambiziosa politica sociale? L’idea è quella di combattere la corruzione in modo radicale e di togliere i privilegi ai politici. Un programma comune a diversi movimenti populisti, di destra e di sinistra, che si stanno affermando alle varie latitudini. Le parole possono anche essere gradevoli, ma i conti non tornano. Comunque, la rivoluzione messicana può cominciare. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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