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I PUNTI GUADAGNATI DA ERDOGAN

Recep Tayyip Erdogan mentre si prepara a pronunciare un discorso al parlamento di Ankara. Le sue accuse ai vertici sauditi ritenuti responsabili dell’omicidio del giornalista Khashoggi gli hanno fatto guadagnare rispetto anche in OccidenteUna manifestazione di protesta per l’uccisione di Khashoggi
Recep Tayyip Erdogan mentre si prepara a pronunciare un discorso al parlamento di Ankara. Le sue accuse ai vertici sauditi ritenuti responsabili dell’omicidio del giornalista Khashoggi gli hanno fatto guadagnare rispetto anche in OccidenteUna manifestazione di protesta per l’uccisione di Khashoggi
Recep Tayyip Erdogan mentre si prepara a pronunciare un discorso al parlamento di Ankara. Le sue accuse ai vertici sauditi ritenuti responsabili dell’omicidio del giornalista Khashoggi gli hanno fatto guadagnare rispetto anche in OccidenteUna manifestazione di protesta per l’uccisione di Khashoggi
Recep Tayyip Erdogan mentre si prepara a pronunciare un discorso al parlamento di Ankara. Le sue accuse ai vertici sauditi ritenuti responsabili dell’omicidio del giornalista Khashoggi gli hanno fatto guadagnare rispetto anche in OccidenteUna manifestazione di protesta per l’uccisione di Khashoggi

Pochi pensavano che sarebbe arrivato il momento di spendere una parola buona per Recep Tayyip Erdogan. Il presidente turco, reduce da un giro di vite preoccupante nei confronti della stampa e da una serie impressionante di incarcerazioni di avversari sospettati di far parte della rete di Fethullah Gulen, suo arci-nemico residente negli Stati Uniti, non è certo un campione della democrazia e, anzi, rappresenta una pericolosa deriva autocratica in salsa islamica nel Paese che fa da cerniera, storicamente e geograficamente, tra Oriente e Occidente e che fa parte dell’Alleanza atlantica. Non a caso viene definito il Sultano e, in contrapposizione con la laicità del padre della patria turca, Ataturk, adesso è colui che ha riportato l’islam anche al centro della politica. Tutti ingredienti che, aggiunti al ruolo esercitato nella guerra in Siria e nella formazione iniziale dello Stato Islamico, lo rendono come uno dei leader politici più discussi e lontani dagli standard democratici. Ebbene, detto questo occorre ammettere che nella gestione del caso di Jamal Khashoggi, il giornalista del Washington Post ucciso nell’ambasciata dell’Arabia Saudita a Istanbul, si è dimostrato molto più in linea con i valori occidentali di quello che dovrebbe esserne il custode massimo, vale a dire il presidente degli Stati Uniti. Donald Trump, infatti, nonostante le prove evidenti esibite niente meno che dalla Cia sulle responsabilità dell’omicidio del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, ha ribadito il suo sostegno e la sua alleanza all’Arabia. E al leader che, nonostante questa ombra, resta il principale protagonista di quella che è stata finora definita come la stagione delle riforme. Erdogan, invece, in queste settimane ha continuato a fornire prove, servendosi della stampa (un bel paradosso per colui che non ha esitato a scaraventare in galera centinaia di giornalisti turchi), del coinvolgimento dei massimi vertici arabi nell’omicidio. E di fronte all’assoluzione “realista” di Trump ha affidato la replica al ministro degli esteri, Mevlut Cavusoglu: «Il denaro non è tutto - ha detto -. Non dovremmo abbandonare i valori di umanità. Questo è un omicidio, e l’occhio del denaro è cieco». Di qui l’accusa a Trump di «chiudere un occhio a qualsiasi costo» sulle responsabilità di Riad nell’uccisione di Jamal Khashoggi. È certo che Erdogan non si è trasformato, dalla sera alla mattina, nel paladino della libertà e della democrazia. Tutto quello che fa, compresa quest’ultima operazione degna di nota, è legato a un interesse preciso. «Erdogan - scrive il New York Times - non ha ottenuto quello che ha voluto. Per settimane il leader turco ha cercato di delegittimare il proprio rivale regionale, Mohammed bin Salman, con diversi leaks efficaci in grado di provare la responsabilità dell’arabo nell’omicidio del giornalista del Washington Post. Ma quando Trump ha fatto chiaramente intendere che, nonostante tutto, non avrebbe abbandonato l’alleato arabo, la più grande ambizione di Erdogan, mettere ai margini il rivale e spostare la politica americana in Medio Oriente, è rimasta nel cassetto». Eppure, riconosce il quotidiano americano, adesso Erdogan sta sicuramente in una posizione migliore di quanto non fosse prima dell’omicidio di Khashoggi. E stiamo sempre parlando, occorre ricordarlo, di colui che, all’indomani di quel bizzarro tentativo di colpo di stato in Turchia, non ha esitato a mettere in carcere oltre centomila persone senza andare troppo per il sottile. Ma i punti non li ha presi solo sul fronte occidentale. «Lui è adesso sostenuto dalla maggioranza della gente del mondo arabo - ha spiegato al New York Times Asli Aydintasbas, dell’European Council on Foreign Relations -. Tutti pensano che Erdogan sia dalla parte giusta e c’è un grande apprezzamento per quel che ha fatto. È quello che gli interessava e quello che è più importante per lui». Insomma, adesso Erdogan ha guadagnato rispetto, oltre che punti, nel mondo islamico. È con lui che bisognerà fare i conti in futuro. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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