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EFFETTI DEL “TRUMPEACHMENT”

Nancy Pelosi mentre presiede la seduta a Capitol Hill mentre viene messo ai voti l’impeachment a carico del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Ora la pala passa al Senato, dove la maggioranza è in mano ai repubblicani. ANSA/AP/PATRICK SEMANSKYIl presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. EPA/MICHAEL REYNOLDS
Nancy Pelosi mentre presiede la seduta a Capitol Hill mentre viene messo ai voti l’impeachment a carico del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Ora la pala passa al Senato, dove la maggioranza è in mano ai repubblicani. ANSA/AP/PATRICK SEMANSKYIl presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. EPA/MICHAEL REYNOLDS
Nancy Pelosi mentre presiede la seduta a Capitol Hill mentre viene messo ai voti l’impeachment a carico del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Ora la pala passa al Senato, dove la maggioranza è in mano ai repubblicani. ANSA/AP/PATRICK SEMANSKYIl presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. EPA/MICHAEL REYNOLDS
Nancy Pelosi mentre presiede la seduta a Capitol Hill mentre viene messo ai voti l’impeachment a carico del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Ora la pala passa al Senato, dove la maggioranza è in mano ai repubblicani. ANSA/AP/PATRICK SEMANSKYIl presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. EPA/MICHAEL REYNOLDS

Per capire che non si tratta di una baruffa partitica basterebbe consultare i libri di storia. Prima di Donald Trump, infatti, soltanto due presidenti degli Stati Uniti sono finiti in stato di accusa, o sotto impeachment per usare il termine inglese: Andrew Johnson, nel 1868, per aver cercato di sostituire il ministro della Guerra senza passare dal Congresso, e Bill Clinton, nel 1998, per aver mentito sotto giuramento a proposito della sua relazione con la stagista Monica Lewinsky. In entrambi i casi la Camera si espresse per mettere in stato di accusa il presidente e il Senato, invece, si pronunciò in senso contrario, lasciando quindi in sella il comandante in capo. Per la verità anche per Richard Nixon, dopo l’esplosione del caso Watergate, venne iniziato il procedimento di impeachment, ma il repubblicano si dimise prima che la Camera lo mettesse ai voti. Ora che la Camera, sotto la presidenza combattiva di Nancy Pelosi, ha dato il via libera all’impeachment per due oggetti d’accusa (abuso di potere e ostacolo del Congresso), Trump entra suo malgrado nella ristrettissima cerchia dei presidenti che hanno rischiato di essere cacciati anzitempo dalla Casa Bianca per indegnità. Dovrebbe essere un momento di grave riflessione per tutti i poteri dello Stato, a prescindere dalla casacca partitica indossata dal presidente. Fosse dimostrato che è vero, e diverse prove sono state sciorinate finora, che Trump ha ricattato il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, minacciandolo di ritirare i fondi Usa destinati a quel paese se Kiev non avesse riaperto un’inchiesta nei confronti del figlio di Joe Biden, principale candidato democratico alla corsa alla Casa Bianca, i rappresentanti del popolo americano nelle istituzioni dovrebbero dimenticare l’appartenenza e giudicare sulla base dei fatti. Le cronache di questi giorni sembrano dimostrare invece che un provvedimento drammatico come l’impeachment del presidente viene derubricato a strumento politico da usare a piacimento nella campagna elettorale che si sta per aprire insieme al nuovo anno. Sono pochi, pochissimi, i deputati e i senatori americani che hanno votato o voteranno secondo coscienza. E per questo l’esito del voto è già scontato: il Senato, a maggioranza repubblicana, assolverà Trump e a quel punto di vedrà se questa grande e preoccupante operazione si trasformerà in un volano che porterà il presidente uscente alla riconferma o se invece lo strascico di polemiche favorirà l’oppositore democratico, al momento ancora da designare. La sensazione è che a guadagnarci sarà proprio Trump che fin d’ora, a colpi di tweet, sta recitando la parte dell’ingiustamente perseguitato. Quello che invece non depone a favore dell’integrità delle istituzioni democratiche americane è l’atteggiamento dei leader delle due camere e dei rispettivi deputati e senatori. Se Nancy Pelosi e i democratici uniti hanno premuto il grilletto scaraventando Trump nei libri di storia per motivi non fulgidissimi, Mitch McConnell, il leader dei repubblicani al Senato, ha stravolto ogni protocollo e, prima ancora di esaminare le carte ha tuonato nel corso di un’intervista a Fox news: «Mi coordinerò pienamente con la Casa Bianca». Non gli è bastato, dunque, definire «deboli» i due articoli per l’impeachment di Donald Trump. No, contravvenendo a quello che dovrebbe essere un ruolo super partes nei confronti della Casa Bianca ha candidamente ammesso che ogni movimento in Senato sarà coordinato con i legali del presidente. «Sappiamo tutti come andrà a finire - ha concluso - ovvero in un nulla di fatto». C’è ancora qualcuno che ostenta indipendenza di giudizio. Mitt Romney, ex candidato repubblicano alla Casa Bianca, ha detto al Salt Lake Tribune: «Agirò come un giudice e sarò imparziale nel valutare il caso dell’impeachment». Non dimenticando il giudizio che lo stesso Trump ha dato di lui quando si permise di criticarlo per la telefonata al presidente ucraino al centro dell’impeachment: «Un idiota presuntuoso e perdente». • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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