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COM’È DIFFICILE USCIRE DALL’UE

Manifestazione a Londra contro l’attuale primo ministro conservatore, Boris Johnson, accusato addirittura di “colpo di stato” per aver bloccato il parlamento. I sondaggi lo danno però in testa in caso di elezioni. EPA/ANDY RAINBoris Johnson cerca di trascinare la Gran Bretagna fuori dall’Ue
Manifestazione a Londra contro l’attuale primo ministro conservatore, Boris Johnson, accusato addirittura di “colpo di stato” per aver bloccato il parlamento. I sondaggi lo danno però in testa in caso di elezioni. EPA/ANDY RAINBoris Johnson cerca di trascinare la Gran Bretagna fuori dall’Ue
Manifestazione a Londra contro l’attuale primo ministro conservatore, Boris Johnson, accusato addirittura di “colpo di stato” per aver bloccato il parlamento. I sondaggi lo danno però in testa in caso di elezioni. EPA/ANDY RAINBoris Johnson cerca di trascinare la Gran Bretagna fuori dall’Ue
Manifestazione a Londra contro l’attuale primo ministro conservatore, Boris Johnson, accusato addirittura di “colpo di stato” per aver bloccato il parlamento. I sondaggi lo danno però in testa in caso di elezioni. EPA/ANDY RAINBoris Johnson cerca di trascinare la Gran Bretagna fuori dall’Ue

Tempi duri per i populisti. Anche per quelli del versante colto e risoluto come Boris Johnson, primo ministro britannico accusato addirittura di colpo di stato per aver di fatto chiuso il parlamento quanto basta per far passare la Brexit a qualunque costo, anche col no deal, entro il 31 ottobre prossimo. Come notava il New York Times, a differenza di Donald Trump che in America non trova ostacoli e dei populisti ungheresi e polacchi al potere, lo spettinato Boris è stato pettinato per bene dalle istituzioni del Regno Unito. È andato sotto quattro volte in parlamento e 21 membri del partito conservatore, molti dei quali già appartenenti alla schiera dei Remain in occasione del referendum, si sono espressi per impedire l’approvazione di una Brexit senza accordo con l’Ue bloccando contemporaneamente la richiesta di elezioni del premier e leader dei Tories che, per tutta risposta, ha espulso dal partito i reprobi. Ma neanche in famiglia il leader ha trovato sostegno se è vero, come è vero, che il fratello Jo si è dimesso in virtù, come lui stesso le ha definite, di insanabili tensioni tra la lealtà familiare e l’interesse nazionale. Insomma, non un buon inizio per il caterpillar che ha preso il posto della odiata Theresa May, che adesso si gode lo spettacolo da bordo campo. I conservatori, massacrati alle ultime Europee a vantaggio di un redivivo Nigel Farage, adesso rischiano davvero la spaccatura, resa più probabile dall’uscita dal governo e della ministra Amber Rudd. La priorità emersa in parlamento, il cui speaker, John Bercow, per quanto conservatore, sta guidando la crociata contro un premier giudicato pericoloso, è quella di evitare a tutti i costi il no deal. Perché, come ha ricordato The Guardian ripreso da Internazionale, «il no deal non è un modo semplice per risolvere un problema complicato: è un modo per renderlo infinitamente complicato». Va ricordato, infatti, che con l’entrata in vigore di Brexit il Regno Unito sarà trattato come “paese terzo” dagli stati dell’Unione. «Un accordo - insiste The Guardian - comporterebbe un periodo di transizione, in cui gli scambi commerciali proseguirebbero secondo il vecchio sistema in attesa di nuovi accordi. Il no deal significa invece il baratro. Sulle esportazioni britanniche verso l’Unione ci saranno controlli e dazi, e lo scambio di servizi sarà sottoposto a restrizioni. Commerciare con l’Europa sarà più difficile e costoso, con gravi conseguenze soprattutto per le piccole imprese». Non a caso già con Theresa May era stata approntata una task force in grado di affrontare questa eventualità giudicata, nei primi tempi, alla stregua di una calamità devastante. A Boris Johnson questa teoria non piace. E non perde occasione di gridare ai quattro venti che con lui la Brexit si farà, come previsto, entro il 31 ottobre e che se non sarà raggiunto l’accordo con l’Unione europea, pazienza. Un approccio tipicamente populista che, peraltro, sta ottenendo un mare di consensi, almeno a giudicare dai sondaggi. «L’istituto YouGov accredita ai Conservatori, sotto la sua leadership, un potenziale 35% di consensi - annota l’Ansa - e ben 14 punti di vantaggio sul Labour di Corbyn. La strada per arrivare a una data sul voto resta comunque contorta». La ministra Rudd, come detto, si è dimessa dicendo di non credere più all’obiettivo di provare a portare a termine la Brexit con un accordo, alla scadenza del 31 ottobre. «E bollando come un attacco alla decenza e alla democrazia l’espulsione lampo comminata martedì scorso a 21 dissidenti conservatori di spicco rei d’aver votato in favore del testo anti-no deal». Boris però non molla e punta al voto, convinto di solleticare le corde dell’elettorato che non ne può più di una Brexit ancora da definire. Tra l’istrionico premier che pensava di piegare il parlamento per arrivare all’obiettivo e le istituzioni che non si lasciano condizionare dai sondaggi stanno però vincendo le seconde. Segno che nel Regno Unito, per quanto minato da una divisione radicale, conta il popolo e non il populismo. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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