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CANADA PIÙ DIVISO CON TRUDEAU

Il premier canadese e leader del partito liberale, Justin Trudeau, durante il discorso pronunciato a Montreal dopo il risultato delle elezioni che, nonostante la perdita di voti, lo ha confermato alla guida del Paese. EPA/VALERIE BLUMTrudeau con la moglie Sophie-Gregoire. S. KILPATRICK/THE CANADIAN PRESS
Il premier canadese e leader del partito liberale, Justin Trudeau, durante il discorso pronunciato a Montreal dopo il risultato delle elezioni che, nonostante la perdita di voti, lo ha confermato alla guida del Paese. EPA/VALERIE BLUMTrudeau con la moglie Sophie-Gregoire. S. KILPATRICK/THE CANADIAN PRESS
Il premier canadese e leader del partito liberale, Justin Trudeau, durante il discorso pronunciato a Montreal dopo il risultato delle elezioni che, nonostante la perdita di voti, lo ha confermato alla guida del Paese. EPA/VALERIE BLUMTrudeau con la moglie Sophie-Gregoire. S. KILPATRICK/THE CANADIAN PRESS
Il premier canadese e leader del partito liberale, Justin Trudeau, durante il discorso pronunciato a Montreal dopo il risultato delle elezioni che, nonostante la perdita di voti, lo ha confermato alla guida del Paese. EPA/VALERIE BLUMTrudeau con la moglie Sophie-Gregoire. S. KILPATRICK/THE CANADIAN PRESS

Il problema non è tanto che sarà costretto a formare un governo di minoranza. Il problema è che dopo il suo primo mandato, condito da tanta speranza e ottimismo, si ritrova in realtà con un Canada più diviso che mai. Così Justin Trudeau riparte con parecchie ammaccature provocate da un risultato elettorale che non può certo essere definito soddisfacente per il suo Liberal Party anche se, grazie al sistema elettorale dei collegi, gli consentirà di ripartire da primo ministro nonostante la maggioranza del voto popolare sia andata ai conservatori di Jason Kenney. E comunque, rispetto alla maggioranza corposa che aveva ottenuto nel 2015, il partito di Trudeau questa volta ha perso 30 seggi in un parlamento composto da 338 deputati. La scommessa di Trudeau, e il suo unico sistema per tenere insieme un Paese uscito triturato dalle urne: da un lato, quello occidentale delle province di Alberta e Saskatchewan, ricche di petrolio e gas, ha prevalso il programma dei conservatori che si sono ripresi il controllo; dall’altro il Bloc Québécois si è riaffermato in Quebec, non tanto o non solo per i soliti motivi separatisti. Quanto a Trudeau, le grandi città, Toronto e Ottawa, lo hanno premiato ma adesso, per avere il via libera, dovrà spostare l’asse dell’esecutivo più a sinistra chiedendo l’appoggio del New Democratic Party del leader sikh Jajmeet Singh, che pure ha perso 18 seggi. Ci sono molti punti in comune tra i due partiti, entrambi schierati, per usare uno schema italiano, nel centrosinistra. Per esempio, le idee che hanno caratterizzato la campagna elettorale del premier riguardavano un taglio delle tasse per la classe media, la messa al bando delle armi d’assalto e obiettivi sempre più ambiziose per la riduzione delle emissioni nel settore dell’ambiente. Tutte cose che Singh non farà certo fatica a condividere. Peccato, però, che ci siano alcuni punti su cui invece l’accordo tra i due partiti pare impossibile. In particolare sull’oleodotto che dovrebbe unire l’Alberta col terminale di Vancouver: Trudeau è a favore, tanto che nel 2018 il suo governo acquistò la struttura dai privati con l’obiettivo di espanderla a sostegno dell’economia dell’Alberta; Singh invece non ci sente e su questo il governo potrebbe esplodere prima ancora di essere innescato. Va anche ricordato, però, che durante la campagna elettorale lo stesso Singh ha dichiarato che avrebbe fatto «tutto quello che serviva» («Whatever it takes», riecheggiando una fortunata dichiarazione di Mario Draghi spesa a suo tempo per ostentare la risolutezza nel salvataggio dell’euro) per tenere i conservatori lontani dal potere. Obiettivo che potrà dirsi raggiunto nel momento in cui partirà il nuovo governo di minoranza di Trudeau. Quello che è certo è che l’immagine del giovane e piacione leader canadese è stata macchiata da alcune “colpe” che a un liberal difficilmente vengono perdonate. Tipo quel video goliardico emerso dal passato in cui un giovane Trudeau si era dipinto di marrone il volto per fingere di appartenere a un’altra etnia, un gesto che assume un connotato razzista. Ma, al di là di questi schizzi di fango, è stata la sua politica a rendere per certi versi inevitabile lo scontro con alcune parti del Paese. Si diceva dell’Alberta, dove l’industria dell’Oil&Gas la fa da padrona. Nell’ultimo dibattito tra i leader, come ricorda The Economist, Trudeau «ha abbandonato la sua attenta retorica in equilibrio tra sviluppo della ricerca delle risorse naturali e protezione ambientale scegliendo di attaccare “gli interessi del petrolio” e i leader provinciali che si opponevano alle sue politiche legate al climate-change». Non è stata una passeggiata, insomma, e quella che lo attende potrebbe diventare una corsa a ostacoli. Ma c’è un precedente in famiglia, conclude sempre The Economist, che gli fa ben sperare: suo padre, Pierre Trudeau, nel 1972 vide la sua maggioranza liberale ridotta a una minoranza: due anni dopo vinse a mani basse e rimase alla guida del Canada fino al 1984. Se ce l’ha fatta il padre, ci proverà anche il figlio. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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