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BORIS IL ROSSO, ALFIERE DI BREXIT

Boris Johnson, candidato alla guida del partito conservatore, mentre visita uno stabilimento della Bae System a Govan, nei pressi di Glasgow. È lui il favorito a raccogliere il testimone lasciato cadere da Theresa May. ROBERT PERRY/POOL VIA AP Nigel Farage volta le spalle durante l’inno europeo. EPA/PATRICK SEEGER
Boris Johnson, candidato alla guida del partito conservatore, mentre visita uno stabilimento della Bae System a Govan, nei pressi di Glasgow. È lui il favorito a raccogliere il testimone lasciato cadere da Theresa May. ROBERT PERRY/POOL VIA AP Nigel Farage volta le spalle durante l’inno europeo. EPA/PATRICK SEEGER
Boris Johnson, candidato alla guida del partito conservatore, mentre visita uno stabilimento della Bae System a Govan, nei pressi di Glasgow. È lui il favorito a raccogliere il testimone lasciato cadere da Theresa May. ROBERT PERRY/POOL VIA AP Nigel Farage volta le spalle durante l’inno europeo. EPA/PATRICK SEEGER
Boris Johnson, candidato alla guida del partito conservatore, mentre visita uno stabilimento della Bae System a Govan, nei pressi di Glasgow. È lui il favorito a raccogliere il testimone lasciato cadere da Theresa May. ROBERT PERRY/POOL VIA AP Nigel Farage volta le spalle durante l’inno europeo. EPA/PATRICK SEEGER

C’è uno strano populista che sta per planare al numero 10 di Downing Street. Il suo obiettivo è uscire dall’Europa, costi quel che costi, anche senza accordo, pur di allontanare il Regno Unito da quella che ritiene una zavorra fatta di catene burocratiche e di bizzarrie normative. Questo strano populista, che in realtà si è laureato a Eton, fa parte della crema dell’aristocrazia conservatrice britannica e sprizza cultura con la stessa disinvolta competenza con cui incorre in gaffe diplomatiche e in incidenti amorosi, si chiama Boris Johnson e, a meno di clamorose sorprese, alla fine di questo mese sarà incoronato leader dei Tories britannici e, quindi, primo ministro. L’avversione per l’Unione europea di Johnson risale al periodo in cui faceva carne di porco delle delibere del parlamento di Bruxelles e la serviva con stile pulp sulle colonne del Daily Telegraph, quotidiano conservatore di cui era stimato corrispondente. Il suo massimo divertimento era quello di mettere alla berlina provvedimenti (i colleghi critici, e forse un po’ invidiosi, dicevano che “tirasse” le notizie un po’ troppo) che prevedevano le misure delle zucchine e, addirittura, dei preservativi. I lettori del Telegraph, non a caso a tutt’oggi la sentina dei Brexiteers, si divertivano e, nel contempo, alimentavano il livore contro l’appartenenza all’Ue. Certo, anche Margaret Thatcher, la Lady di ferro idolatrata dall’universo conservatore, non risparmiava attacchi a Bruxelles. Ma erano, come dire, attacchi costruttivi, mirati a correggere e non a distruggere. Nella sfida che oggi oppone Johnson a Jeremy Hunt alla carica di leader dei conservatori e primo ministro, il clima antieuropeo è molto più “cattivo”. L’incapacità di Theresa May a consegnare l’uscita dall’Europa in tempi ragionevoli ha prodotto tre risultati politici immediati: primo, la sua caduta inevitabile, tra l’ignominia, dalla carica di primo ministro; secondo, la rinascita di Nigel Farage, già fondatore dell’Ukip, il partito pensato proprio per fare uscire il Regno Unito dall’Ue, e del suo nuovo Brexit Party, diventato il primo partito alle ultime surreali elezioni europee; terzo, la debacle clamorosa tanto dei conservatori quanto dei laburisti di Jeremy Corbyn, un socialcomunista fuori dal tempo e con preoccupanti derive antisemite. Questa rivoluzione ha travolto il tradizionale quadro politico britannico e ha catapultato Boris il rosso, come viene familiarmente chiamato Johnson, in testa alle aspettative di rinascita. Peccato che, come ha sottolineato The Economist, queste aspettative siano nutrite da un nazionalismo duro che non aveva mai attecchito, almeno con questa virulenza, a queste latitudini. In realtà il protagonista di questa svolta non avrebbe queste credenziali. Ha fatto il sindaco di Londra in maniera più liberale di quel che si tenda a ricordare e se sta sicuramente a destra nel panorama politico nazionale, non è certo la destra retriva cui adesso, con quei toni estremisti pro Brexit, sembra fare il verso. C’è un simpatico precedente che riguarda ancora il Boris Johnson giornalista e risale a una quindicina di anni fa. Insieme a Nicolas Farrel, all’epoca direttore dello Spectator, settimanale londinese di area conservatrice, andò a fare una lunga intervista a Silvio Berlusconi nella sua villa in Sardegna. Quando uscì scoppiarono polemiche in tutta Europa: secondo Johnson Berlusconi si era espressa in modo sostanzialmente benigno («Non ha mai ucciso nessuno») nei confronti di Benito Mussolini e spiattellò quell’intervista sottolineando questa “pericolosa deriva” italiana. A distanza di tutto questo tempo i ruoli si sono rovesciati e adesso in Gran Bretagna le accuse di “pericolosa deriva” sono tutte indirizzate a lui, a Boris il rosso, che un paio di settimane fa è stato cacciato di casa dalla fidanzata, Carrie Symonds, con tanto di intervento della polizia a seguito di allarmate chiamate dei vicini. Il vantaggio che aveva sul rivale Hunt si è un pochino assottigliato. Ma gli inglesi pensano ancora che l’unico capace di imprimere l’accelerata finale alla Brexit sia lui. Good luck. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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