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La vita degli internati

Il dramma dei campi di sterminio
Il dramma dei campi di sterminio
Il dramma dei campi di sterminio
Il dramma dei campi di sterminio

A cercare rifugio in Italia erano stati in gran parte tutti quelli che credevano che l’Italia potesse diventare il loro salvavita, non i più poveri o i più ricchi, ma chi era riuscito a racimolare, individualmente o con l’aiuto della comunità ebraica, quanto più denaro possibile, nell’illusione di ritrovare una speranza che nell’Europa dell’est era già andata perduta. Alcuni cittadini locali li consideravano “ospiti indesiderati”, altri erano più tolleranti, altri ancora cercavano per quanto possibile di aiutarli. Gli ebrei internati nei Comuni del vicentino erano una piccola comunità, ma costituivamo un "problema" per una società attraversata non solo da pulsioni mussoliniane, ma spesso anche da quelle filo naziste, che anno dopo anno avrebbero eroso le basi sociali del regime mussoliniano. A Malo erano circa una cinquantina, un gruppo compatto, ma non omogeneo, esposto alla crescente ostilità dell'ambiente circostante. Molti di loro appresero in fretta l’italiano, che li separava ulteriormente dal paese nel quale erano nati, ma che solo in rare circostanze li avvicinava alla popolazione locale. Questi Ebrei arrivati a Malo si portavano appresso le loro tradizioni: avevano lasciato in patria comportamenti che variavano dalla più stretta osservanza religiosa alla frequentazione della sinagoga nei soli giorni di festa solenne, matrimoni avvenuti nella quasi totalità all'interno del rispettivo gruppo di appartenenza religioso e in genere tra persone che avevano lo stesso status sociale. La kasheruth (L'insieme delle leggi alimentari ebraiche è chiamato Kasheruth che letteralmente significa "adatto, giusto, appropriato" e sono contenute nella Torah, il più sacro testo ebraico, corrispondente a quello che per i Cattolici è l'Antico Testamento), un tempo non remoto largamente rispettata in patria, era all’epoca solo una chimera e guai a far notare comportamenti diversi da quelli della popolazione locale. Religione, riti, feste erano state accantonate per dar spazio a una forzata e finta assimilazione. L'estraneazione dalla vita pubblica del paese era la regola, la più elementare delle precauzioni. Per molti di loro erano iniziati la fine di un sogno, il preludio di nuove tragedie e sofferenze. Nessuno di loro sapeva di essere controllato, erano convinti di essere “internati liberi”, di fatto, lettere, parole, risparmi, spostamenti, qualsiasi cosa era debitamente controllata (spesso confiscata.) A Malo, come di prassi, le condizioni di vita degli ebrei internati, sebbene ben diverse da quelle dei campi di concentramento nazisti, erano comunque difficili: privati della libertà e di molti beni personali, soggetti spesso sottoposti alle angherie della burocrazia fascista, costretti a vivere in alloggi di fortuna, godevano di un sussidio che, soprattutto verso al fine del periodo di internamento, non bastava a coprire le più elementari esigenze e costringeva, pertanto, a intercedere presso benefattori privati, o organizzazioni assistenziali ebraiche come la Delasem. La caduta del Fascismo, l’inizio dell’occupazione tedesca e l’istituzione, da parte della Repubblica Sociale Italiana, dei campi di concentramento provinciali e nazionali (Ordinanza di polizia n. 5 del 30.11.1943), segnarono uno svolta cruciale nella storia di questi profughi dall’est, accomunandoli nel destino agli Ebrei italiani. Molti, grazie ai documenti di copertura, alle informazioni e ai mezzi messi a disposizione da sacerdoti e, talora, dalle stesse autorità locali, riuscirono a fuggire in Svizzera, come successe appunto agli Ebrei di Malo. Pochi, grazie al coraggio di famiglie del posto, rimasero nei paesi di internamento fino alla liberazione, come successe a David Levy, nascosto dai Dal Toso di Sossano. Quarantatrè (accertati) subirono la deportazione: alcuni finirono nel campo di Tonezza del Cimone, istituito nell’ex colonia alpina Umberto I, e da qui confluirono nel convoglio n. 6, formato a Milano e Verona il 30 gennaio1944 e diretto ad Auschwitz; altri, dopo una permanenza nelle carceri di Vicenza, furono trasferiti al campo nazionale di Fossoli di Carpi e confluirono nel convoglio n. 8, partito il 22 febbraio 1944 e giunto ad Auschwitz il 26 successivo.

P. F.

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