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Partigiana
con Legiòn
d'honneur

Maria Setti  divenne Broglio col matrimonio nel 1950La consegna della medaglia d'argento al valor militare conferita alla Setti nel 1950 da parte del prefetto. Qui sopra il diploma con la medaglia.
Maria Setti divenne Broglio col matrimonio nel 1950La consegna della medaglia d'argento al valor militare conferita alla Setti nel 1950 da parte del prefetto. Qui sopra il diploma con la medaglia.
Maria Setti  divenne Broglio col matrimonio nel 1950La consegna della medaglia d'argento al valor militare conferita alla Setti nel 1950 da parte del prefetto. Qui sopra il diploma con la medaglia.
Maria Setti divenne Broglio col matrimonio nel 1950La consegna della medaglia d'argento al valor militare conferita alla Setti nel 1950 da parte del prefetto. Qui sopra il diploma con la medaglia.

Vent’anni fa, il 6 febbraio 1996 moriva Maria Setti Broglio, medaglia d’argento della Resistenza al valor militare, insignita della Légion d’honneur, per molti anni docente di francese al Pigafetta e presidente dell’Alliance française di Vicenza. Donna di grande indipendenza intellettuale è la Marta descritta da Luigi Meneghello ne “I piccoli maestri”: “era davvero una donna singolare: era stata dappertutto, conosceva tutti. Il Tirolo, Edimburgo, Milano, Tripoli; dappertutto era casa sua.”

CHI ERA. Nata a Vicenza nel 1899, diplomata all’istituto magistrale “Fogazzaro”, già nel ’17 era a Parigi a studiare alla Sorbona. Dopo la laurea in lingue a Bologna era andata a studiare a Grenoble. In seguito sarà insegnante prima a Tripoli e poi a Pola.

Nel ’42 era entrata nel gruppo di “Giustizia e libertà” con Giuriolo, Magagnato, Ghirotti, Nicolini, Gallo, Meneghello, Caneva, Ghiotto, Spanevello, Galla. Aveva fatto parte del primo gruppo resistenziale vicentino e Nino Bressan la ricordava “già il 9 settembre del ’43 in stazione fra i soldati che stavano per essere deportati in Germania. Lei raccoglieva i biglietti per le famiglie, dava da bere ai prigionieri.”

E Meneghello colse la prontezza del suo impegno: “l’otto settembre deve averle colpito la fantasia: adottò subito, come sua figlia e sorella, la resistenza vicentina.”Come scrive Antonio Trentin nella sua biografia su Antonio Giuriolo, fu proprio lei ad accompagnare Meneghello e i cugini Galla nel Bellunese prima e sull’Altipiano poi. Fu lei a salire a Campogrosso con Libero Giuriolo che voleva incontrare il fratello ferito dopo il rastrellamento del 5 giugno del ‘44.

LA CASA. Nella sua casa di Montemezzo, scrive Meneghello, “aveva un mucchio di bei libri, e teneva una specie di corte, o rifugio, dove accorreva ogni maniera di gente.” Ne fece un luogo di rifugio per partigiani, ebrei, fuggiaschi fino a quando fu arrestata, proprio in quella casa, come ricorda la motivazione della medaglia d’argento al valor militare: “Sprezzante di ogni pericolo costituiva nella sua casa il centro della resistenza clandestina di un vasto settore della zona prealpina; perseguitata dalla polizia veniva catturata e sottoposta ad inaudite torture che non valsero a strapparle un motto che potesse compromettere i suoi compagni di lotta e di fede.” Dopo l’arresto fu infatti condotta a villa Girardi di via Fratelli Albanese dove fu torturata. Da lì fu portata alla caserma di San Michele dove si finse pazza fingendo di strozzare una compagna di cella e di volersi buttare dalla finestra e fu ricoverata all’ospedale di Montecchio Precalcino.

I LIBRI. Sono rari i riferimenti a Maria Setti nei libri dedicati alla Resistenza vicentina e questo contrasta con l’ampio risalto che le ha viceversa riservato Meneghello ne “I piccoli maestri”. Qui i protagonisti sono quasi tutti ragazzi poco più che ventenni che trovano in Toni Giuriolo il loro maestro il quale, pur con una sporadica presenza nel racconto, domina la vicenda e dà senso alla loro esperienza. Ma, a parte Giuriolo, non esistono personaggi ai quali Meneghello dedichi la particolare descrizione consacrata a Marta, cioé a Maria Setti.

MENEGHELLO. Per lei l’autore sembra quasi sospendere la trama del romanzo e la fa risaltare con espressioni che non hanno pari nel libro. “Era davvero una donna singolare. (…) Era infermiera, professoressa, agricoltora, interprete; e si era sempre adoperata per la gente, famiglie, individui, categorie. Aveva un modo avventuroso, romanzesco di assistere la gente: compariva all’improvviso, spesso travestita (ma pareva sempre un po’ travestita), le piaceva irrompere in mezzo a una vita, a un ambiente familiare, e travolgerli.”

Se i protagonisti sono giovani studenti alla ricerca di un’educazione autentica dopo quella vuota e falsa ricevuta alla scuola del fascismo, Marta, che aveva già quarantacinque anni, rappresenta la maturità. Quando arriva a parlare di lei, il tono dello scrittore cambia registro poco indulgendo alla nota umoristica per la quale per qualche tempo il libro era stato anche criticato.

Così lo stile si fa serio quando scrive: “La penultima sera ci fermammo nella casa di campagna della Marta. La Marta era in prigione, o già all’ospedale, adesso non mi ricordo: perché dalla prigione, dove le fecero quello che le fecero, quei vigliacchi, fu trasferita direttamente all’ospedale. La casa era vuota e silenziosa.”E sono ancora parole piene di rispetto quelle che le riserva: “La cosa più singolare in lei era che non spadroneggiava mai, anzi sottolineva l’umiltà quasi ancillare delle sue funzioni. Esse invece non erano affatto ancillari: non era, la sua, la figura convenzionale della crocerossina, abnegata, spargitrice di balsamo; i suoi servigi erano creazione, invenzione. Era un’inventrice: inventava con la naturalezza con cui altri ride e piange; presso di lei si era in un mondo di fantasia, imprevedibile. In certi momenti non pareva nemmeno una donna, ma una specie di incantatrice.”

In questo modo Maria-Marta attraverso la descrizione che ne fa Meneghello brilla di una luce tutta sua in quella che costituisce non soltanto una delle opere più vive dello scrittore vicentino ma anche uno dei più bei libri della copiosa letteratura italiana ispirata dalla Resistenza accanto ad autori come Carlo Levi, Elio Vittorini, Cesare Pavese, Giorgio Bassani fino al nostro Mario Rigoni Stern.

Pio Serafin

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