<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">

Una pittura
temeraria

Sposalizio mistico di Santa Caterina, 1542 – 1544 olio su tela, Kunsthistorisches Museum, Vienna
Sposalizio mistico di Santa Caterina, 1542 – 1544 olio su tela, Kunsthistorisches Museum, Vienna
Sposalizio mistico di Santa Caterina, 1542 – 1544 olio su tela, Kunsthistorisches Museum, Vienna
Sposalizio mistico di Santa Caterina, 1542 – 1544 olio su tela, Kunsthistorisches Museum, Vienna

Andrea Meldola, detto lo Schiavone per le sue origini dalmate (giunse a Venezia da Zara, dov’era nato attorno al 1510), ha trovato oggi il modo di ricambiare la stima che Jacopo Tintoretto sempre dimostrò nei suoi confronti. Infatti, in occasione della mostra che la città di Venezia finalmente dedica alla sua pittura, i due curatori, Enrico Maria Dal Pozzolo e Lionello Puppi, per arricchire un percorso espositivo assai bel articolato nelle rinnovate sale del Correr, hanno scelto due quadri di Tintoretto solitamente custoditi nel museo veronese di Castelvecchio: “Presentazione di Gesù al tempio con San Giovanni Battista” e “Contesa tra le Musa e le Peridi”, sottraendoli in tal modo dalla lista che i ladri avevano compilato prima di compiere il clamoroso furto. Rientreranno a fine mostra, il 10 aprile 2016.

Un illustre dimenticato, Schiavone. Un precursore arbitrariamente spostato in fondo al gruppo. Un enigma per la critica, un cono d’ombra biografico. Con una percentuale altissima di opere disperse nel mercato internazionale, questo mentre in laguna le case e palazzi da lui affrescati venivano a poco a poco scrostati dalla salsedine e dal tempo. Ma a questo si aggiunge la sua andatura stilistica non facile da collocare, destabilizzante. Lo definirono da subito coraggioso, ma anche audace e spregiudicato. Approssimativo, Irriverente e discontinuo. Veloce, per alcuni frettoloso. Tra i suoi contemporanei Paolo Pino - di cui si sa che fu allievo di Savoldo - nel 1548 defininì la sua pittura “piena d’infamia” nel suo “empiastrar, facendo il pratico”.

Ma anche Pietro Aretino, tra le voci più influenti del tempo, in una lettera provò a frenare la sua indole: “Il sì degno (Tiziano) si è talora instupito nella pratica che dimostrate nel tirare giuso le bozze de le istorie, si bene intese e si bene composte che, se la fretta del farle si convertisse nella diligenza del finirle, anche voi confermereste il mio ricordo per ottimo”. Parole, guarda caso combacianti, con quanto successivamente lo stesso Aretino scrisse a Tintoretto: “E beato il nome vostro, se reduceste la prestezza del fatto in pazienza del fare”. E da buon saggio aggiunse: “A poco a poco provvederanno gli anni (…) a raffrenare il corso della trascuratezza, di che tanto si prevale la gioventù volonterosa e veloce”. Però, volonterosi e veloci i due artisti rimasero per tutta la vita, conferendo anzi alla corsa il compito di trasmettere visivamente e con fedeltà il proprio carattere espressivo.

Tintoretto lo considerava al punto da sostenere “ch’era degno di riprensione quel pittore che non tenesse in casa sua un quadro di Andrea” in modo da assorbirne l’energia creativa. Conferma diretta arriva anche dalle parole del figlio Domenico, il quale ricordava che il padre “teneva avanti di sé, come per esemplare, un quadro di questo Auttore per impressionarsi di quel gran Carattere di Colorito, così forzuto e pronto”

A parte quando decide di velare ogni tono, immergendo i suoi umori in terrose trasparenze, Schiavone diventa un colorista eccellente. C’è la lezione di Tiziano, ma in fondo alla via par già di intravvedere persino Delacroix, c’è il coetaneo Jacopo Bassano, ovviamente il Parmigianino, al quale rende onore riprendendone i soggetti, ma anche le sventagliate timbriche che saranno dell’espressionismo o il liquido magma che porterà all’informale. Pur dimostrando sapienza nella costruzione dell’impianto compositivo, l’incedere della pittura lo assorbe completamente, provocando alcune evidenti incongruenze prospettiche, tra primi e secondi piani. Peraltro, si dimostrerà un sapiente disegnatore, un grande incisore, senza mai conferire al segno il compito di recintare la luce. A lui guardò con interesse il maestro cadorino, di una trentina d’anni più vecchio, ma non meno El Greco, di una trentina più giovane. Per non dire di Annibale Carracci, nato nel 1560, il quale, infuriato per il trattamento riservatogli da Vasari nella seconda edizione delle “Vite”, annotò: “Schiavone fu spiritoso e gratioso pittore, e così spedito e facile che avanzò di gran longa molti pittori fiorentini i quali Vasari essalta fino al cielo”.

Ma cosa aveva scritto Giorgio Vasari, che pure nel 1540 gli aveva commissionato un quadro che poi defini “dei suoi migliori”, raffigurante “La battaglia di Tunisi” da donare a Ottaviano de’ Medici? Poche righe. Prima definendo il suo modo di dipingere: “Pratica che s’usa a Vinezia, di macchie o vero bozze, senza essere finita a punto” (non poteva certo immaginare che qualche secolo dopo e proprio nella sua terra prese via la corrente dei Macchiaioli), per poi scagliare una freccia avvelenata a tal punto da offuscarne la figura: “Perché ha pur fatto talvolta per disgrazia alcuna buon opera e perché ha imitato sempre, come ha saputo il meglio, le maniere dei buoni”. Considerazione tanto velonosa, quanto grossolana e inesatta, poiché, come anche Dal Pozzolo sottolinea in catalogo (24Ore Cultura): “da subito ha cercato di dimostrarsi differente, nuovo”.

La mostra, che si avvale della direzione scientifica di Gabriella Belli e di una serie di contributi critici di estremo interesse, riunisce oltre ottanta lavori di Andrea Meldola, tra dipinti, disegni e incisione, provenienti da prestigiose istituzioni museali di mezza Europa, mettendoli a confronto con le fonti a cui egli si ispirò o con gli artisti che s’innestarono nella sua pittura, cogliendone la novità del percorso. Opere di Tiziano e dell’amato Parmigianino, e poi di Tintoretto, Salviati (in laguna dal 1539 al 41), Paris Bordon, Jacopo Bassano, Polidoro da Lanciano, Lambert Sustris. Due tavole anche di Giorgio Vasari, esposte per mostrarne la diversità. Quattordici sale pensate come capitoli, per scandire (quasi sempre senza date precise) una vicenda artistica che prosegue anche all’esterno, nella chiesa dei Carmini, a San Sebastiano, a San Giacomo dell’Orio e nella sansoviniana libreria Marciana. Abbandonato per strada, dopo cinque secoli Schiavone è rientrato nella sua Venezia. In tempi in cui la qualità purtroppo si calcola esibendo il numero dei biglietti strappati, si può anche dire che questa, oltre ad essere intelligente, è una mostra audace e temeraria, almeno quanto riuscì ad esserlo la pittura di Andrea Meldola, detto lo Schiavone, morto senza figli nel 1563. Questa è una notizia certa.

Silvio Lacasella

Suggerimenti