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Quando il Veneto sposa la Puglia

Don Antonio Mazzi parla a «Libri nel Borgo Antico» a Bisceglie: «Queste cose non potrei dirle a Milano...»
Don Antonio Mazzi parla a «Libri nel Borgo Antico» a Bisceglie: «Queste cose non potrei dirle a Milano...»
Don Antonio Mazzi parla a «Libri nel Borgo Antico» a Bisceglie: «Queste cose non potrei dirle a Milano...»
Don Antonio Mazzi parla a «Libri nel Borgo Antico» a Bisceglie: «Queste cose non potrei dirle a Milano...»

(...) sentir ragioni. Per cui, seppur di malavoglia, mi sono risolto ad affrontare il viaggio.

Che terno al lotto ho vinto! Viuzze del centro storico medievale intasate di folla fino all’inverosimile. Età media dei passanti: 20 anni. Migliaia di bambini, intrattenuti in piazza con uno spettacolo di burattini, roba che Nino Pozzo e Tony Bogoni avranno fatto festa in cielo. Ho pensato: ma che razza di posto è mai questo dove si mettono ancora al mondo figli? Centinaia di giovani con un cappellino di paglia bianco in testa, recante il logo della manifestazione, trasportavano libri con le carriole, li vendevano, li scambiavano: a Bisceglie regalano i titoli già letti a chi non ha mezzi per acquistarli.

I 145 autori (145!) parlavano uno via l’altro, a partire dalle 17.30 e fino a mezzanotte passata, in cinque diverse location all’aperto della cittadina. Posti a sedere esauriti ovunque e gente in piedi a far da corolla. Sicché nello stesso momento in cui il mio amico Pino Aprile, autore del best seller Terroni, parlava in via Marconi, a Gandolfini e a me era stato riservato il palcoscenico più ambìto, quello in piazza Duomo, dove, confuso tra il pubblico, abbiamo trovato ad aspettarci anche Attilio Romita, finalmente a figura intera: finora lo avevo visto solo a mezzobusto come conduttore del Tg1.

Giunto in quel formicaio con mezz’ora di anticipo, affacciandomi a fatica da un vicoletto intasato di pedoni, sono riuscito a dare una sbirciata al palco. Ingigantito sul grande schermo, don Antonio Mazzi stava parlando del suo libro Le parole di Papa Francesco che stanno cambiando il mondo (Cairo editore). Pronunciava, al solito, cose scomode: «La Chiesa arriva sempre dopo. Io voglio una Chiesa che arrivi prima, che provochi la politica, che non faccia del buonismo. Non lo sopporto più, il buonismo». Poi una confessione, forse dettata dalla carta d’identità (farà 87 anni il prossimo novembre): «Ho poche virtù. Ma, quando andrò di là, dentro non avrò rospi. Tutto quello che avevo da dire, l’ho detto». L’ultima che ha detto mi è parsa illuminante: «Queste cose posso raccontarle soltanto qui. A Milano non le capirebbero. Posso raccontarle a voi perché siete ancora gente semplice».

Sì, serve gente semplice per mettere in piedi un ambaradan del genere, per convocare una moltitudine di persone ad ascoltare in piena estate, con 30 gradi anche la sera e un’umidità del 90 per cento, scrittori un po’ pallosi che si parlano addosso. E non uno solo, ma addirittura fino a nove per via o piazza.

Senza che ci fossimo accordati prima, Gandolfini e io siamo giunti alla medesima conclusione e l’abbiamo ben volentieri riferita al pubblico: questa è l’Italia vera, quella che più ci piace. Se a qualcuno saltasse in mente in piena estate di organizzare una simile manifestazione a Brescia, o a Verona, o a Vicenza, di certo non si troverebbe davanti una platea complessiva di almeno 2.500 spettatori ancora interessati al contenuto dei libri.

A parte i soliti patrocini (Comune, Provincia, Regione), non crediate che i volontari di Libri nel Borgo Antico abbiano potuto godere dell’appoggio di chissà quali sponsor. Ne ho contati 24 in tutto, ma erano per lo più piccole aziende pugliesi. Il partner più grosso? Famila. L’ho preso come un auspicio: da Family a Famila. Essendo una catena di supermercati fondata a Bolzano e diffusa soprattutto nelle province di Verona, Mantova, Treviso, Brescia e Vicenza, mi è sembrato uno sposalizio incoraggiante con il Sud.

Del fatto che gli organizzatori pugliesi fossero poveri in canna, ho avuto conferma quando, entrati per un’intervista in un locale fatto di pietre antiche, più simile a un antro che alla sede di un’associazione, all’improvviso è saltata la corrente, lasciando al buio intervistatore, cameraman e autori, solo perché era stato acceso un ventilatore per tentare di abbassare la temperatura tropicale del locale.

Per poter accedere alla piazza della cattedrale, siamo dovuti entrare in un’osteria storica, Il Cerriglio, salutati calorosamente dagli avventori che stavano cenando. Essendo la trattoria dotata di un doppio ingresso, ci ha consentito di uscire su un vicoletto dalla parte opposta, proprio dietro il palcoscenico, in quel momento ancora occupato dall’ex attrice Claudia Koll. L’ultimo a parlarmi di lei era stato il regista Tinto Brass: «Ricordo che mi telefonò sconvolta: “Mi ha chiamata Bigas Luna, mi ha chiesto di fare in scena di quelle cose...”». Adesso s’è convertita, ha fondato l’associazione onlus Le Opere del Padre. «Ah, no’ so gnente, mi de fede no’ capisso un casso!», commentò il campione del cinema erotico. «Claudia è un mistero. E pensare che lo faceva così bene, le piaceva proprio. Invece quando nel 2003 è finita a recitare nel film tv Maria Goretti so che ha chiesto di cacciare dal set uno dei miei operatori di ripresa perché le ricordava il passato».

Il mistero perdura. Koll stava presentando Faustina Kowalska. La Divina Misericordia (Edizioni Messaggero Padova, quello di Sant’Antonio, per capirci). Il 4 aprile 1937, durante un’apparizione alla suora Faustina Kowalska, la coroncina della Divina Misericordia fu oggetto della promessa fatta da Gesù ai fedeli che la recitano: «Nell’ora della morte non sarò per loro Giudice, ma Salvatore misericordioso». Ho avuto occasione di conoscere un industriale cartario milanese, Michele Fiorio, guarito da un tumore per intercessione della monaca polacca. Da allora ha già stampato in oltre 10 milioni di copie il santino della coroncina e lo invia gratis in tutto il mondo, a chiunque lo desideri, spese postali a suo carico. Oppure va a consegnarlo di persona. Mica un santino per volta: scatole da 1.300 pezzi ciascuna.

La protagonista di Così fan tutte parlava di temi spirituali con tono mistico, come neppure un vescovo. Il mio sguardo è stato attratto da un oggetto d’oro posato sul tavolino che aveva davanti a sé. Che si trattava di un ostensorio, contenente una reliquia di Santa Faustina Kowalska, l’ho capito quando, a mezzanotte ormai inoltrata, gli organizzatori ci hanno portato a gustare la tradizionale tiella pugliese (riso, patate e cozze): la Koll aveva posato l’arredo liturgico persino sul tavolo della pizzeria L’Altro Buco. Un secondo dettaglio ho notato: dalla borsetta dell’ex attrice spuntava la testa di un cane da compagnia taglia XS. Mah.

Nello stesso locale stava finendo di pasteggiare, in compagnia di due signori, anche don Mazzi. Invece dell’ostensorio, il trio teneva in bella vista sul tavolo una copia del Fatto Quotidiano di Marco Travaglio. Sempre fede è. Ho salutato il sacerdote in virtù delle comuni origini. Passa mezz’ora, sono seduto a tavola con Gandolfini e un’altra quindicina di commensali. Avverto un botto micidiale e un dolore atroce al centro della schiena. Trasalisco per lo spavento. Era una manata di congedo appioppatami da don Mazzi, che se ne stava andando a nanna. Sbigottimento dei commensali seduti di fronte a me: «Abbiamo sentito lo spostamento d’aria fin qui». Scherzo di mano, scherzo da villano, si diceva un tempo. Del resto mai aspettarsi troppo da un prete che in un venerdì di quaresima sfidò suor Paola in tv in una gara di ballo, dando vita a «un programma dalla furibonda fatuità», come commentò L’Osservatore Romano.

Di tutt’altra pasta m’è sembrato Sergio Silvestris, 42 anni, organizzatore di Libri nel Borgo Antico, ex parlamentare europeo ed ex consigliere regionale che dai banchi dell’opposizione ingaggiava memorabili scontri con il governatore Nichi Vendola. Ha voluto presentarmi la mamma, un’elegante signora dagli occhi magnetici, che mi ha detto: «Benedetto il vostro libro! Ho cercato d’infondere in mio figlio proprio questo, l’amore per la famiglia». E ci ha tenuto a parlarmi della sua: «Lo sa che mia madre era originaria delle sue parti, di Grezzana? Si chiamava Isolina Salvagno. In tempo di guerra conobbe mio padre Francesco, che dalla Puglia era stato spedito a combattere al Nord. Infatti a casa nostra ancor oggi mangiamo gnocchi, baccalà alla vicentina e bollito misto con la pearà, che in Puglia non sanno nemmeno che cosa sia. La mamma mi raccontava che con il futuro marito andò a una sagra in un paesino della Valpantena. Il loro amore sbocciò lì». È lo stesso paesino in cui mi sono sposato io e nel quale vivo e scrivo. Poi dicono che la vita è governata dal caso.

Stefano Lorenzetto

www.stefanolorenzetto.it

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