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Processo
(con falsità) all’Arma

Il maresciallo colpito alla tempia dalla donna che impugna il cellulare
Il maresciallo colpito alla tempia dalla donna che impugna il cellulare
Il maresciallo colpito alla tempia dalla donna che impugna il cellulare
Il maresciallo colpito alla tempia dalla donna che impugna il cellulare

(...) campioni d’imparzialità del calibro di Michele Santoro e Corradino Mineo. Siccome la (ex) gentile fanciulla fu nominata cavaliere della Repubblica da Francesco Cossiga, penso che il defunto presidente si rivolterà nella tomba, considerato che nutriva per i carabinieri un affetto pari solo alla sua avversione per i comunisti, e infatti confessò che nel dopoguerra si era attrezzato a combattere i secondi facendosi dare le bombe a mano dai primi nel caso di un’invasione sovietica.

La giornalista deve avere qualche tratto inquisitorio nel genoma (il padre figurava nei ruoli dell’Avvocatura dello Stato), rafforzato dal legame con il pubblico ministero Henry John Woodcock, in compagnia del quale è stata spesso paparazzata sulla stampa rosa: in costume da bagno a Fregene, in moto, ai giardinetti, a spasso con il cane, mentre fa footing. Infatti da conduttrice di Chi l’ha visto? da qualche tempo s’è trasformata in mattatrice di Chi l’ha fatto? e non cerca quasi più persone scomparse: insegue presunti colpevoli.

Il 13 aprile Sciarelli ne addita uno al pubblico disprezzo. È il maresciallo Roberto De Razza Planelli, comandante della stazione dei carabinieri di Grezzana (Verona), che indossa la divisa con onore da 32 anni. Lo mostra in tv più e più volte, anche al rallentatore. Senza dargli la possibilità di difendersi: soltanto cinque ore prima della trasmissione lo hanno avvisato dall’Arma che quella sera la Rai avrebbe sparlato di lui. Nessuno della redazione gli ha telefonato per invitarlo in studio o almeno per raccogliere la sua versione dei fatti, anzi del fatto. Che, per come appare da un filmato scioccante, è questo: il carabiniere ha abusato del suo potere e ha dato uno schiaffo a una donna. Oh, cielo! Non si fa. Mai. Una signora non si sfiora neppure con una rosa, lo sanno tutti. Allora perché si sarà comportato così? È impazzito?

La vicenda va avanti dal 1967 a Cerro Veronese. C’è di mezzo una strada privata che alcune famiglie devono utilizzare per tornare a casa, tant’è che il Comune l’ha parzialmente asfaltata a proprie spese. Nel 2011 i padroni del terreno decidono però che i confinanti non debbano più transitarvi e mettono un’auto di traverso per chiuderla. Un agente della polizia municipale chiama il Nucleo radiomobile dei carabinieri per ripristinare il diritto di passo. I proprietari, inviperiti, non sentono ragioni. Nel timore di incidenti, i custodi della legge soprassiedono. Ma il sindaco non può tollerare l’abuso. L’indomani rimanda sul posto la polizia comunale e chiede l’appoggio dei carabinieri di Grezzana, competenti per territorio. Il comandante De Razza è alle prese dal 1998 con le complicate vicende della contrada. Già due volte in passato è stato costretto a inviare i suoi uomini sul posto. Perciò si presenta di persona accompagnato da due militari, a uno dei quali ordina di filmare gli eventi. Per un paio d’ore le forze dell’ordine trattano inutilmente con la famiglia - padre, madre, due figli adulti - perché tolgano di mezzo il veicolo. Niente, non c’è verso di farglielo spostare. Viene elevata una contravvenzione. Si chiama il carro attrezzi. A quel punto la figlia dell’anziana coppia tenta d’impedire la rimozione salendo sul tettuccio della vettura, in modo che l’autogrù non possa agganciarla. Il maresciallo afferra la signora per un braccio per impedirle di finire schiacciata. Costei, per tutta risposta, lo colpisce violentemente alla tempia sinistra con il cellulare che impugna nella mano destra, facendogli volare via il berretto. Penso che per un uomo dell’Arma sia un’umiliazione paragonabile a quella che patirebbe una suora vedendosi strappare il velo.

Federica Sciarelli presenta la scena così: la signora «alza le braccia» e le «arriva uno schiaffo ben assestato». Notare l’artificio retorico: braccia alzate (segno di resa) contrapposte a sberlone mirato («assestare: colpire con abilità nel punto voluto», Zingarelli). Traduzione per il popolino: il prepotente in divisa percuote a freddo una donna inerme. Avete presente lo sganassone che Glenn Ford rifila a Rita Hayworth in Gilda? Ecco. Il carabiniere diventa il brutale baro che fa piangere la povera ballerina nella scena madre del film. Non che il dettaglio sia decisivo, però mi ha spiegato mia cognata, la quale è reduce da un corso di autodifesa personale, che la tecnica del ceffone sulla guancia è la prima che le hanno insegnato: disorienta il malintenzionato senza arrecargli danni.

Il maresciallo viene aggredito selvaggiamente con una gragnuola di pugni dal fratello dell’esagitata, preso per il collo, spinto contro un’inferriata. Il carabiniere che riprende la scena deve abbandonare la telecamera per accorrere in suo aiuto. Risultato: frattura di una costola e contusioni al viso e a una mano per il comandante, colpo di frusta cervicale per il milite, con prognosi di 15 giorni refertata a entrambi in ospedale.

La famiglia viene arrestata. Segue la condanna in primo grado (1 anno per resistenza a pubblico ufficiale irrogato a fratello e sorella; 6 mesi a padre e madre). Pena confermata in appello, tranne che per il capofamiglia, assolto. Sentenza definitiva di colpevolezza per gli altri tre pronunciata dalla Cassazione e passata in giudicato.

La schiaffeggiata si rivolge allora a Chi l’ha visto? e piagnucola d’essere vittima di un’ingiustizia, perché i giudici si sarebbero rifiutati di esaminare il filmato. Falso. Fu lei stessa a pretendere che non venisse ammesso nel primo processo: sosteneva che i carabinieri l’avevano taroccato. In seguito cambiò idea: denunciò il maresciallo per violenza privata e allegò il video come prova. Il Pm lo analizzò al rallentatore e chiese l’archiviazione del procedimento, lei si oppose, il Gip archiviò ugualmente. Pubblico ministero e giudice per le indagini preliminari riconobbero che la reazione del sottufficiale era stata adeguata.

La tumultuosa sequenza fu oggetto di una seconda denuncia contro il maresciallo per falso in atti e in sistemi informatici. Anche in quel caso il Gip accordò l’archiviazione proposta dal Pm e contestata dalla querelante. Ricapitolando: finora le immagini sono state soppesate da tre Pm, da tre Gip, da due giudici civili, da due comandanti provinciali e di compagnia dei carabinieri e persino da un comandante generale dell’Arma e nessuna di queste 11 autorità ha trovato men che corretto il comportamento del maresciallo.

Visionato fotogramma per fotogramma anche dalla Rai, il filmato non è risultato affatto manomesso. Ma Chi l’ha visto? ne ha fatto lo stesso la pietra dello scandalo. Il motivo? Semplice: come insegnava Mao Tsetung, vale più una cosa vista di cento raccontate e un carabiniere che schiaffeggia una donna fa audience. Infatti il video diventa subito virale, finisce sul sito del Corriere della Sera, suscita indignati commenti su Facebook, totalizza migliaia di visualizzazioni su Youtube. Se provate a digitare «chi l’ha visto carabiniere» su Google, vi verranno suggeriti i seguenti risultati: «chi l’ha visto carabiniere pugno», «chi l’ha visto carabiniere picchia», «chi l’ha visto carabiniere violento».

Non conta che il sottufficiale sia stato ferito, non conta che sia stato oltraggiato, non conta che sia uscito a testa alta dalle aule di giustizia in tutti i gradi di giudizio: andava trasformato in un mostro da dare in pasto al grande pubblico. A chi ha osato rilevare che il massacro mediatico è avvenuto a spese dei contribuenti, Sciarelli ha replicato sprezzante che lei è pagata dagli inserzionisti pubblicitari e che porta più soldi alla Rai di quanti non ne percepisca. Applausi. Quindi possiamo smettere di pagare il canone.

Una domanda alla cavaliera catodica della Repubblica: perché ha consentito alla destinataria del manrovescio di affermare che oggi, per colpa del maresciallo, si ritrova «pregiudicata ingiustamente senza aver fatto nulla»? La deontologia professionale obbligava la giornalista a informarsi. Avrebbe così scoperto, come ho fatto io senza condurre un programma tv in prima serata, che nel 2012 alla signora erano già stati inflitti 4 anni per falsa testimonianza e calunnia (reato, quest’ultimo, poi prescritto), avendo mentito in un processo: s’era inventata d’essere stata picchiata da un amministratore condominiale. Stessa condanna al padre. La sentenza è stata confermata in appello nel 2015, con sconto di pena (1 anno e 4 mesi) e assoluzione del genitore. Se avesse lavorato con scrupolo, Sciarelli avrebbe letto la motivazione della sentenza di primo grado, nella quale il giudice rimarcava che i due hanno «la pericolosissima propensione a utilizzare lo strumento giudiziario come arma contro coloro che vengono identificati come i propri “nemici”, sviando la giustizia». È chiaro adesso a chi ha dato credito la conduttrice di Chi l’ha visto?, schierando la tv di Stato contro un servitore dello Stato? Il maresciallo De Razza Planelli non picchia le donne: semmai le soccorre, come ha dimostrato nel dicembre scorso, rischiando di morire bruciato vivo per salvare le anziane intrappolate nell’incendio della casa di riposo di Grezzana. Né le ferisce: semmai le cura, come ha fatto in questi giorni con le malate che ha accompagnato nel suo tredicesimo pellegrinaggio a Lourdes in veste di barelliere del Sovrano militare ordine di Malta.

Tra Federica Sciarelli e Roberto De Razza Planelli, scelgo il secondo. Starò sempre dalla parte dei carabinieri. Nei secoli fedele. Come lo sono loro per tutti noi, nonostante gli sputi.

Stefano Lorenzetto

www.stefanolorenzetto.it

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