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Mail, raccomandazioni, villani

Il presidente Giuseppe Saragat aborriva i cardinali raccomandatori
Il presidente Giuseppe Saragat aborriva i cardinali raccomandatori
Il presidente Giuseppe Saragat aborriva i cardinali raccomandatori
Il presidente Giuseppe Saragat aborriva i cardinali raccomandatori

(...) diventa insopportabile. Talché sono stato costretto a giungere a una conclusione che mai avrei pensato di dover trarre: è giusto che certe persone perdano il posto di lavoro. Anzi, mi stupisco che ne avessero uno e credo che la Grande Crisi si stia dimostrando un’infallibile regolatrice dell’universo.

Scendo al pratico. Il 23 marzo apro la posta elettronica: «Mi presento: sono (nome e cognome), architetto padovano cinquantasettenne. Da diversi anni l’attività professionale si è via via sempre più ridotta al punto che ad agosto del 2015 sono stato costretto a chiudere la partita Iva e nel successivo dicembre a cancellarmi dall’albo di iscrizione all’Ordine provinciale di appartenenza. Ho maturato più di 27 anni di contributi previdenziali, come libero professionista. Da molto tempo sto ricercando altre attività lavorative, ma senza alcun riscontro. Mi sento normalmente rispondere che un curriculum come il mio non aiuta, anzi risulta paradossalmente ostativo. Ho letto una recensione del suo ultimo lavoro Giganti, edito da Marsilio. Ritiene che ci sia una reale possibilità di trovare un serio interlocutore che dia ascolto alla mia istanza?». Allegato c’è il curriculum.

Un ufficio del personale se la caverebbe con il cestino elettronico. Ma qui c’è una persona che versa nel bisogno, mi dico, e che ha cercato proprio me. Così mi ritrovo a interpellare un allievo di Carlo Scarpa, l’architetto Alfonso Vesentini Argento, già docente all’Università di Trieste e vincitore del premio Luigi Piccinato, una sorta di Oscar per l’urbanistica e la pianificazione territoriale, intitolato a un genio del compasso che nacque nel 1899 a Legnago. Ci mobilitiamo in due per tentare di assistere il disoccupato patavino. Purtroppo ci tocca subito concludere che si può fare ben poco per lui.

Però qualche buon consiglio, almeno quello, è giusto darglielo. Per cui, a meno di 48 ore dalla ricezione della mail, lo incoraggio scrivendogli che ha un eccellente curriculum e che non deve mai perdere l’autostima. Gli faccio notare che non è una colpa far parte di una categoria che più di tante altre risente della crisi economica (come la mia, del resto). Gli spiego che non vale la pena di perseverare nelle progettazioni, mentre l’edilizia è ferma: tenti la strada dell’insegnamento in istituti privati, dove per i bravi docenti ci sarà sempre posto. E aggiungo: fossi in lei, manderei il curriculum a imprese emergenti del Veneto, proponendomi quale consulente a cachet nel caso avessero bisogno di ampliare o rinnovare i loro siti produttivi, ristrutturare o abbellire le sedi, appianare grane burocratiche in campo edilizio.

Trascorso più di un mese, dall’architetto disoccupato non ho ricevuto non dico un grazie, ma neppure un cenno di lettura della mia risposta. Escludo che la latitanza possa dipendere dal fatto che nel frattempo gli è crollata addosso una gru perché, e spero per lui di sbagliarmi, secondo me un tizio così è destinato a non rimettere mai più piede in un cantiere fino all’età della pensione. La disoccupazione non esonera dalla buona creanza e bisognerebbe sempre tenere a mente che la seconda è una competenza indispensabile per evitare la prima.

Come avrete intuito, la maggior parte delle mail che m’intasano Outlook contengono una richiesta di aiuto, che di solito è spregiativamente definita «raccomandazione». Giuseppe Saragat, presidente della Repubblica, diceva: «Se un cardinale mi fa una raccomandazione, prendo subito informazioni sul cardinale». Giusto. Chi ricopre ruoli pubblici, è tenuto a trattare tutti i cittadini nello stesso modo. Ma un giornalista non ha alcun vincolo di legge.

Confesso di non comprendere il disgusto per quella che, con un frusto stereotipo, viene bollata come «la piaga delle raccomandazioni». La prima volta che fui assunto nel quotidiano della mia città fu solo perché il direttore in pectore del Giornale di Vicenza mi segnalò a quello dell’Arena, quasi volesse lasciare a me il posto che stava per liberare a Verona. Non ne ebbe in cambio neppure una bottiglia di Recioto. Solo l’imperitura riconoscenza.

Allo stesso modo ho cercato di comportarmi nel proseguimento della mia vita, seguendo l’immortale comandamento («Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro») su cui si fonda l’etica della reciprocità. Cerco di fare agli altri quello che fu fatto a me, però non in modo indiscriminato o clientelare, bensì altamente selettivo. Tutte le volte che ho segnalato un giornalista meritevole di assunzione è solo perché ero talmente convinto della sua bravura da spingermi, in qualche occasione, a mettere sul tavolo le mie dimissioni pur di costringere il direttore e l’editore a farlo entrare. Tant’è che alcuni di questi raccomandati sono poi diventati direttori, vicedirettori, capiredattori, inviati speciali in testate importanti.

Anni fa lessi sulla Repubblica un’analisi scandalizzata sul cosiddetto «canale informale», quello dei rapporti familiari, delle relazioni sociali, delle conoscenze, che secondo un’indagine condotta dall’Isfol consentirebbe di trovare un impiego a oltre il 40 per cento degli italiani. Un raccomandato su 2. Ciò azzera la concorrenza, scoraggia, perpetua le diseguaglianze, disapprovava il giornalista. A me pare invece che questo sia un incentivo a preservare le reputazioni familiari, in modo tale che restino sempre una moneta spendibile, e a spronare i giovani affinché si preparino con serietà per essere degni di una segnalazione. La quale da sola non funziona mai. Infatti se qualcuno mi manda una mail per dirmi che il suo sogno sarebbe scrivere, lo giudico innanzitutto da come scrive. Se poi mi aggiunge che vorrebbe farlo su un giornale, lo invito a mandarmi un articolo a suo avviso meritevole di pubblicazione. Di solito desiste subito.

Perché allora dovrei cestinare il curriculum di un giovane informatico originario di Taranto, che non conosco se non attraverso le sue mail, il quale a 42 anni, esiliato alla periferia di Atene, è sottoutilizzato nell’help desk di una multinazionale, nonostante sappia ripristinare a distanza un computer con competenza, sollecitudine e gentilezza straordinarie? Ritengo al contrario un dovere civico inoltrare il suo profilo professionale alle aziende che fossero interessate. Dove sarebbe lo sconcio? Scandaloso semmai è che un ingegno tanto brillante sia costretto a vivacchiare da precario in Grecia.

E torno al veicolo: l’e-mail. Purtroppo è la più spudorata ladra dell’unico bene, il bene supremo, di cui un individuo possa disporre: il proprio tempo. T’illude di fartene guadagnare moltissimo ma subito te lo chiede di ritorno con interessi da usura. Mi considero malato o, meglio, «mailato» ormai da anni. Ma giudicate da voi quanto talvolta sia consolante questo malanno: «Sono un ingegnere elettronico di Milano nato nel 1973, anno in cui lei firmava il suo primo articolo. Nella mia famiglia non è mai stata tradizione seguire la carta stampata e, essendo vissuto a cavallo dell’era digitale, ancor meno ne ho sentito il bisogno durante la mia crescita culturale, avendo sempre trovato tutto quel che mi serviva sapere frugando nella Rete mondiale. Le sue parole mi sono giunte come un sollievo, sentendomi finalmente non più solo nel nulla che mi circonda».

Come scriveva Giovanni Verga nei Malavoglia, il mare non ha paese ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare. E io davvero non posso fare a meno di prestare orecchio a queste onde, pur sapendo che prima o poi mi travolgeranno.

Stefano Lorenzetto

www.stefanolorenzetto.it

POST SCRIPTUM. Ecco un’onda anomala. Domenica scorsa in questa rubrica ho rivolto alcune critiche motivate a Oliviero Toscani, fra cui quella d’aver sottoscritto nel 1971 sull’Espresso l’appello che costò la vita al commissario Luigi Calabresi. Dall’interessato mi è pervenuta la seguente mail, che riporto testualmente: «Oggetto: a quel mona di lorenzetto. Caro Lrenzettio, sei in crisi di creatività.? un conto essere critico un altro essere informato e un altro ancora essere in buona fede. tu purtroppo, nella tua mediocre provincialità sei semplicemente ridicolo. Per fortuna che in veneto esistono anche grandi giornalisti che la pensano diametralmente opposto a te, per questo sono grandi. buona fortuna comunque. mio piacerebbe andassi un po’ più in profondità sui temi che ho proposto. ma la tua becera provincialità non te lo permette. per me il mondo è grande e pieno do soddisfazioni. peccato che no lo sia per te piccolo mona! con vero affetto oliviero».

La mia risposta: «Caro Toscani, difficile andare in profondità dentro una pozzanghera. A parte una generica stizza e l’accusa di provincialità (davvero divertente provenendo da Casale Marittimo, un paesotto di circa 1.000 abitanti), non trovo solidi argomenti da approfondire neppure in questa mail. Altrettanto affettuosi saluti e auguri di buona fortuna dal piccolo mona al grande analfabeta. Studia, ciuchino. Stefano».

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