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Ma quanti monumenti al brutto

Rotonda della Pioppa a Bologna
Rotonda della Pioppa a Bologna
Rotonda della Pioppa a Bologna
Rotonda della Pioppa a Bologna

(...) era stata incisa nella polpa da un seme incastratosi sulla lama del coltello.

Ora immagino lo stordimento di Angelo Campedelli, coordinatore provinciale dell’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti, che nei mesi scorsi aveva ingaggiato una battaglia contro il sindaco Andrea Gennari affinché i due simulacri venissero rimossi, in quanto «le istituzioni e i luoghi pubblici non devono avere connotati religiosi». Pare infatti che l’Uaar dovrà digerire non più una Madonnina alta 50 centimetri bensì un Gesù che misura 20 metri e ha un’apertura delle braccia di 16, piazzato su un basamento di 6 per 5, copia perfetta in scala 1:50 del Cristo Redentore che da 85 anni sovrasta Rio de Janeiro dalla sommità del Corcovado.

La ciclopica scultura fu costruita a scopo pubblicitario, su commissione di Fastweb, dalla ditta Pontalto di Terrossa in occasione dei Mondiali di calcio 2014 disputati in Brasile. Dopo essere stato esposto in piazza Dante Alighieri a Napoli, il Messia itinerante ha fatto ritorno nel luogo di origine e giace smontato in pezzi nel cortile dell’azienda che lo ha realizzato. Da tempo il sindaco di Roncà, Roberto Turri, chiede alla compagnia telefonica la cessione gratuita del manufatto, onde poterlo installare sul monte Calvarina. Il primo cittadino probabilmente spera che il paese a cavallo fra Veronese e Vicentino si trasformi come per incanto in un duplicato della metropoli carioca. Avesse uno sbocco sull’oceano, Roncà diventerebbe un’altra Rio. Del resto, come diceva Lino Banfi, «se Parigi avesse lu mèr, sarebb ’na piccola Bèr».

Comprendo il movente del sindaco leghista. Due anni fa, quando la riproduzione del Cristo Redentore venne ultimata, la sede della Pontalto, specializzata nelle gigantesche scenografie in vetroresina che si vedono a Gardaland e a Mirabilandia, fu assediata da frotte di pellegrini e curiosi. Turri si sarà detto: perché non ripetere il bis di qui all’eternità sulle pendici del Calvarina? Proposito encomiabile, se si guarda al giro d’affari che ne deriverebbe. Quanto a congruità del luogo e impatto ambientale, qualche interrogativo, al posto suo, me lo porrei.

Il punto è proprio questo. I monumenti - lo dice l’etimologia latina della parola - dovrebbero essere eretti per far ricordare un personaggio o un evento. Purtroppo negli ultimi decenni in Italia si fanno ricordare solo per la loro futilità, spesso sposata a una conclamata bruttezza. Riconosco che l’estetica, in fatto di statue, è una variante soggettiva. Nel 1953 un colto ed equilibrato sindaco democristiano di Verona, il senatore Giovanni Uberti, che era stato sottosegretario nel quinto governo di Alcide De Gasperi e aveva fondato e diretto un quotidiano chiamato Corriere del Mattino, divenne la macchietta d’Italia perché voleva rivestire i cavalli bronzei del ponte della Vittoria, che gli scultori Mario Salazzari e Angelo Biancini avevano provvisto di attributi sessuali con un verismo giudicato eccessivo. Uberti arrivò a stanziare 30 milioni di lire - quasi mezzo milione di euro, rivalutati a valori di oggi - per il rifacimento degli equini. La delibera fu bocciata, con sollievo di mio nonno carrettiere, poverissimo contribuente che aveva chiamato Bale il suo cavallo, proprio per rimarcare con orgoglio che era «un intero», come diceva la nonna ricorrendo a un’appropriata perifrasi zootecnica.

Negli ultimi 20 anni ho girato l’Italia in lungo e in largo e mi sono imbattuto in una quantità tale di monumenti orrendi, cervellotici, volgari, inutili da farmi chiedere se questo sia ancora Il Bel Paese descritto 140 anni fa da Antonio Stoppani, l’abate che poi finì effigiato sul formaggio della Galbani.

Il simbolo della Milano produttiva è diventato un osceno dito medio innalzato verso l’alto in piazza Affari. Dal suo osannato autore, Maurizio Cattelan, non era lecito attendersi di meglio. L’opera d’arte appare comunque ampiamente compatibile con la legge della Borsa, che, soprattutto negli ultimi tempi, non sembra discostarsi da quella del Menga, per la quale chi ce l’ha in quel posto se lo tenga.

A Bologna, alla rotonda della Pioppa, una specie di androide sembra che esca dall’aiuola per venirti addosso e schiacciarti. Ha pure una gamba plasticamente alzata per simulare il movimento. Il mostruoso titano regge sulla schiena un autoarticolato azzurro di dimensioni quasi reali. Mi è stato spiegato che si tratta del monumento al camionista.

Sempre a Bologna, all’incrocio fra via San Felice e via della Grada, fa bella mostra il monumento alla lavandaia, una popputa popolana che lava i panni inginocchiata dentro un mastello metallico. Le si contano le costole - omaggio postumo alla retorica comunista, per la quale i proletari erano denutriti e scalzi - ma il lato B è ragguardevole e inspiegabilmente rotondo, segno che la mortadella s’è concentrata tutta lì.

Sul versante maschile, va segnalato a Savona, davanti a una chiesa, l’uomo con il pisello al vento che forza le sbarre di una cella immaginaria in piazza Martiri della Libertà, icasticamente ribattezzata dai locali «’a ciazza du belin».

Ogni volta che percorro la A4 in direzione di Milano, giunto nei pressi di Grumello del Monte (Bergamo) la mia attenzione è attirata da una rotatoria nel centro abitato, dominata da una botte di legno coperta da un tetto di coppi, come se fosse una casa.

Nella capitale, appena sceso dal treno alla stazione Termini, incappi nel papa Wojtyla dello scultore Oliviero Rainoldi. Il mantello bronzeo, aperto, pare un enorme vespasiano. Grazie al cielo, il volto non assomiglia per nulla a quello del compianto Giovanni Paolo II, anzi, come ha scritto Iain Aitch, «sembra Mussolini che tenta di rapire un minore». Postilla del critico d’arte: «Ecco come non costruire un monumento!».

A Merano, dove dovrebbe essere di casa il rigore teutonico, sono rimasto sconcertato da un colossale cucchiaino con il manico arcuato che affonda in un’aiuola spartitraffico: né a Trieste, capitale del caffè, né a Napoli, tempio della «tazzulella», a qualcuno poteva venire in mente un’idea tanto balzana.

Siamo alla follia. Gli amministratori comunali di Porto Cesareo (Lecce) hanno collocato sul lungomare una statua dell’attrice Manuela Arcuri, sottoponendola persino a rinoplastica dopo che un vandalo le aveva spezzato il naso con una martellata.

Negli anni del dopoguerra l’Italia s’era impegnata fino allo spasimo nelle onoranze ai caduti e alle vittime dei lager nazisti. Intento commemorativo lodevole, sulla carta, nella realtà tradottosi disgraziatamente in una selva di cannoni, fucili, elmetti, mani appese a reticolati, ali d’aereo spezzate, proiettili di mortaio. Ma oggi quali saranno i criteri che hanno ispirato il monumento al gabbiano Jonathan Livingston lungo la passeggiata del molo sud di San Benedetto del Tronto? E il monumento al cane da tartufo di Sant’Angelo in Vado? E il monumento alla motocicletta di San Giovanni in Galilea, provincia di Forlì-Cesena?

Una simile apostasia del bello si vide solo nella Germania orientale, ai tempi della Ddr, con i mastodontici martelli che in ogni piazza forgiavano le falci sulle incudini. Ma qui siamo in Italia, vivaddio, questa resta ancora la patria di Michelangelo, Brunelleschi, Verrocchio, Bernini, Donatello, Cellini, Canova. E anche di Catone il Censore, il quale preferiva che gli uomini s’interrogassero sul perché egli non avesse una statua piuttosto che gli chiedessero come mai non gliene fosse stata dedicata una.

Anni fa lanciai un appello a Vittorio Sgarbi, l’unico che potrebbe salvarci se solo riuscisse a farsi nominare giudice inappellabile dell’estetica nazionale. Inutile sperare nel buonsenso dei Comuni. Quello di Milano, per esempio, ha 18 commissioni consiliari permanenti, che si occupano di tutto - tributi, bilancio, sicurezza, diritti civili, commercio, edilizia, trasporti, animali, verde, turismo, sport - tranne che di arte e di decoro urbano.

Ma poi, anche se in ogni città operasse una competentissima commissione ai monumenti, come farebbe a bocciare i progetti più ignobili? I proponenti votano. E i politici, si sa, sono sensibilissimi alla sedia. Non a caso a Manzano, in Friuli, l’hanno celebrata con un monumento in abete rosso alto 20 metri. Provate a schiodarli da lì, se ne siete capaci.

Stefano Lorenzetto

www.stefanolorenzetto.it

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