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La terra trema,
ridateci i Borbone

Il monumento al milite ignoto a San Pellegrino di Norcia, crollato nell’ultimo terremoto che ha colpito l’Italia centrale
Il monumento al milite ignoto a San Pellegrino di Norcia, crollato nell’ultimo terremoto che ha colpito l’Italia centrale
Il monumento al milite ignoto a San Pellegrino di Norcia, crollato nell’ultimo terremoto che ha colpito l’Italia centrale
Il monumento al milite ignoto a San Pellegrino di Norcia, crollato nell’ultimo terremoto che ha colpito l’Italia centrale

(...) sentenza: «Ricostruiremo tutto, case, chiese ed esercizi commerciali». È lo stesso programma che i friulani si diedero da soli nel 1976. Solo che non ebbero bisogno di dirlo: cominciarono a farlo, dal giorno dopo, in silenzio, senza proclamarlo a reti unificate.

Con il fondato sospetto che le popolazioni colpite dal sisma, e gli italiani tutti, non gli credessero sulla parola, Renzi aveva fatto disporre alle spalle del podio recante il logo della presidenza del Consiglio ben dieci aste portabandiera, con appesi altrettanti tricolori perfettamente allineati, tutti con la medesima piega. Ripeto: dieci. Anche il suo amico Barack Obama, quando parla ai giornalisti, lo fa da un leggio ornato con il «Seal of The President of The United States», ma alle sue spalle di vessilli a stelle e strisce ne tiene uno solo. Gli basta per apparire autorevole.

Il punto è esattamente questo: a che ci serve un capo del governo specialista in pleonasmi, che promette di ricostruire tutto (non credo fosse ipotizzabile l’affermazione contraria: «Vi lasceremo in mezzo alle macerie»), se non sa spiegare come e quando ricostruirà? Purtroppo i terremoti hanno questo di brutto: sono ineluttabili, come la morte, e non sta scritto in nessuna legge di natura dove si manifesteranno, né con quale intensità, né con quale durata. Le famose «scosse di assestamento» non sono altro che una formula consolatoria per attenuare il panico nella popolazione. Giusto per rendere l’idea: dal momento in cui ho cominciato a scrivere questo articolo (ieri mattina alle 5) a quando l’ho finito si sono registrati sul suolo patrio ben 21 sismi di magnitudo superiore a 2, i più forti dei quali, 3 gradi della scala Richter, in provincia di Macerata, a distanza di un’ora l’uno dall’altro. Controllare il sito del Centro nazionale terremoti (cnt.rm.ingv.it) per credere. Lì la lista, impressionante, viene aggiornata in tempo reale.

Perciò da uno statista, ammesso che abbia gli attributi necessari per esserlo, mi aspetto soluzioni, non pacche sulle spalle. E idee sul da farsi, cioè su come prevenire lutti e rovine. La più brillante, al momento, mi è venuta dal Nano, anziché dal presidente del Consiglio. Un motivo ci sarà.

Le case in legno, dunque. Ho scoperto che in provincia di Varese c’è un’azienda, Novello, nata nell’anno in cui io sono venuto al mondo, che ne costruisce di molto eleganti, in tutto e per tutto identiche alle normali abitazioni. Una gentile portavoce, Simona Bardelli, mi ha fornito alcune informazioni, una più straordinaria dell’altra: «Non ci sono limiti al numero di piani possibili per una casa in legno, se ben progettata. A Milano, di recente, sono sorti i primi edifici di 7 e 9 piani, antisismici e in classe A. Le case in legno hanno circa gli stessi costi delle costruzioni tradizionali ma, a parità di spesa, presentano più efficienza energetica e consentono maggiori risparmi».

Capisco che il premier non possa abbassarsi a consultare il Nano o Simona Bardelli, anche se ha la presunzione d’essere l’unico capace di rappresentarli. In compenso ad agosto era volato a Genova per incontrare il miglior architetto che esista in Italia, Renzo Piano. Si sono parlati per quattro ore. Avendo progettato la Shard di Londra, che è il grattacielo più alto d’Europa, qualche idea sulla staticità degli edifici Piano dovrebbe averla, o no? Poiché escludo che i due si siano limitati a parlare del tempo in Liguria, almeno un suggerimento pratico il presidente del Consiglio l’avrà ascoltato. Vi risulta che sia stato tradotto in un’iniziativa concreta, in un disegno legge? A me no.

Eppure fra Renzi e Renzo mantenere le comunicazioni non dovrebbe essere difficile, considerato che l’illustre professionista è anche senatore a vita. Conosco suo figlio, Carlo Piano, giornalista. L’ho interpellato. Ho così appreso che il padre è stato costretto a ripetere nell’aula di Palazzo Madama, all’indomani della nuova tragedia, quanto già aveva espresso al capo del governo nell’incontro di Genova. Segno che nel frattempo non s’è mossa foglia. Parole forti di un uomo competente e provvisto di appassionata moralità: «Ci sentiamo colpevoli solo per il tempo in cui piangiamo i morti. C’è qualcosa di sbagliato. Non si può andare avanti così. Da tre anni mi occupo, qui accanto, al primo piano di Palazzo Giustiniani, nella stanza 24, di periferie: è un grande tema, che appartiene ai nostri tempi. Ma c’è un tema che si presenta come ancora più urgente e ancora più pressante: quello del sisma. Io intendo fare questo progetto non come architetto ma come senatore a vita, usando il mio gruppo di lavoro. Si tratta di un progetto che va più lontano, un progetto generazionale, che deve durare forse due generazioni, 50 anni. Mi riferisco a un progetto a lungo termine: salvaguardare il Paese e il suo patrimonio residenziale dal sisma. Vedete, nel mio mestiere bisogna fare dei prototipi; non basta parlare, non bisogna nemmeno scrivere, non basta. Stiamo parlando di un patrimonio di 10 milioni di case. Questo è l’ordine di grandezza. Il terremoto c’è sempre stato in Italia e ci sarà sempre purtroppo, ma non è fatale che non si reagisca. Si dice che la natura è cattiva. La natura non è cattiva, né buona: è completamente indifferente. Però ha fatto una bella cosa: ci ha dotati dell’intelligenza, che è una cosa naturale». Ecco, si direbbe che la natura, tra Firenze e Roma, non sia stata così prodiga come altrove. L’unica dotazione sparsa a piene mani, da quelle parti, è la parlantina.

Da un presidente del Consiglio mi aspetterei anche che consultasse il suo omologo giapponese, il quale in fatto di terremoti potrebbe tenere una cattedra universitaria. Presumo che nel Paese del Sol Levante le sorgenti sismiche siano assai diverse da quelle del suolo italiano. Ma penso che i progettisti nipponici abbiano molto da insegnarci in materia fin dal 1° settembre 1923, quando un sisma distruttivo lasciò in piedi l’Imperial hotel di Tokyo realizzato da Frank Lloyd Wright e inaugurato proprio quel giorno. Il geniale architetto si era limitato ad attingere alla secolare esperienza dei colleghi locali, facendo «galleggiare» l’edificio su 20 metri di fango alluvionale, con fondazioni larghe e poco profonde, in modo che restasse «in equilibrio come un vassoio sulla punta delle dita di un cameriere», così si espresse Wright.

Infine dal capo del governo mi aspetterei che studiasse. Se lo facesse, scoprirebbe che già nel 1783 i Borbone - sì, proprio i vituperati Borbone - avevano concepito nel Regno delle Due Sicilie un regolamento antisismico teso a impedire che i terremoti sbriciolassero le case, il che spiega il motivo per cui molti edifici costruiti a quel tempo rimangano ancor oggi in piedi e rispondano egregiamente ai test di resistenza.

Ci arrivarono anche loro, come noi oggi, sospinti dall’emergenza, innescata dallo spaventoso sisma che colpì la punta dello Stivale il 5 febbraio di quell’anno, radendo al suolo Reggio Calabria e Messina e provocando un numero di vittime stimato fra le 30.000 e le 50.000. Fu allora che re Ferdinando IV promulgò il primo protocollo antisismico nella storia d’Europa, un ammirevole modello di regole da adottarsi nella ricostruzione. Esso contemplava l’obbligo d’inserire in ogni parete una croce di Sant’Andrea in legno per rendere elastica la struttura muraria. Sono passati più di due secoli ma quella tecnica, definita «casa baraccata», resta tuttora valida. Lo dimostra un test che il Consiglio nazionale delle ricerche ha compiuto tre anni fa sul Palazzo del Vescovo di Mileto a Vibo Valentia, costruito nel rispetto del regolamento di Ferdinando IV e passato indenne attraverso altri terremoti, fra cui il più rovinoso nella storia d’Europa, quello che nel 1908 cancellò di nuovo dalla carta geografica Messina e Reggio Calabria. Gli studiosi del Cnr hanno attestato che il palazzo conserva «un eccellente comportamento antisismico» e rimarcato come un sistema costruttivo ideato a fine Settecento sia tuttora «in grado di resistere a eventi di una certa rilevanza».

Ora si capisce meglio perché nella Collegiata dell’Assunta di Arco, sulla tomba di Francesco II, l’ultimo re delle Due Sicilie morto in esilio nel 1894 mentre era ospite del Trentino austriaco, ancor oggi arrivino visitatori a recitare una preghiera, nonostante le sue spoglie mortali da 32 anni siano state traslate a Napoli. Quasi quasi conveniva tenersi i Borbone.

Stefano Lorenzetto

www.stefanolorenzetto.it

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