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Il diavolo
con una
mano sola

(...) degenere della roulette, frutto di una tecnologia ipnotica applicata all’alea. Charles Fey, l’ingegnere tedesco emigrato in California che la inventò nel 1895, la chiamava «il diavolo con una mano sola», perché prende e non dà. Ne sanno qualcosa i 200 risparmiatori raggirati da un dipendente (oggi ex) dell’agenzia Unicredit di San Giovanni Lupatoto (Verona), che in poco più di un decennio avrebbe prosciugato i loro conti correnti, sperperando alle macchinette di un punto Snai dai 15 ai 20 milioni di euro.

In tutto il Veneto fioccano ordinanze comunali tese a ridurre gli orari di apertura delle sale da gioco. La logica è quella delle fasce d’accesso ai centri storici: ci si può rovinare solo dalle 10 alle 13 e dalle 17 alle 22. Multe salate per gli esercenti che trasgrediscono. Al momento pare l’unica strada per contenere al minimo le tentazioni autodistruttive di cui sono preda i ludopatici, cioè le persone affette da Gap (gioco d’azzardo patologico), una malattia riconosciuta fin dal 1980 dall’American psychiatric association. Purtroppo si tratta di palliativi.

Il numero delle famiglie rovinate appartiene a una contabilità sotterranea ma non per questo meno impressionante. Aumentano le separazioni coniugali provocate dal triste fenomeno. Le Asl sono costrette ad aprire centri contro le dipendenze o ad ampliare gli organici di quelli esistenti. I costi sociali della sindrome si stanno rivelando elevatissimi. Alla Fondazione Giuseppe Tovini, ente per il prestito di soccorso e per la prevenzione dell’usura, arrivano in continuazione richieste di ludopatici indebitati fino al collo con banche, finanziarie e carte di credito, però l’Onlus riesce a intervenire solo se gli sventurati hanno prima sostenuto percorsi di recupero presso il Sert o strutture equivalenti.

Un rimedio efficace sarebbe quello indicatomi dal compianto Giannino Marzotto dei conti di Valdagno Castelvecchio, il geniale imprenditore filantropo che il Lunedì dell’Angelo apriva alle famiglie il parco di Villa Trissino per il più innocente dei giochi, una caccia al tesoro con in palio un uovo di cioccolato ogni due uova sode scovate nell’erba: «Se fossi il presidente del Consiglio, abolirei il gioco d’azzardo gestito dallo Stato, che brucia 80 miliardi di euro l’anno, 1.350 euro per cittadino, lattanti compresi, l’equivalente di uno stipendio mensile. Invece del Gratta e vinci, che si grattino le balle!». Ciao. Macchinette mangiasoldi, casinò e lotterie prosperano proprio perché è lo Stato biscazziere a promuoverli, visto che ne ricava un gettito fiscale imponente.

In Italia abbiamo una slot machine ogni 140 abitanti, il doppio della media europea. Mentre dal 2000 al 2014 il Prodotto interno lordo pro capite è calato del 7,5 per cento, il fatturato delle varie Lottomatica, Bplus, Snai, Cogetech, Hbg Gamenet, Sisal, Admiral, Codere, Cirsa, Nts, Netwin, Intralot è salito del 350 per cento, arrivando alla mostruosa cifra di 84,5 miliardi di euro l’anno. Il 10 per cento della spesa che gli italiani riservano ai loro consumi. Il 5 per cento del Pil nazionale. Grosso modo la stessa cifra che il nostro Paese paga annualmente per gli interessi sul proprio stratosferico debito pubblico.

Il mio amico Cesare Lanza, che ha diretto una mezza dozzina di quotidiani, assunto giornalisti diventati famosi (da Ferruccio de Bortoli a Gian Antonio Stella) e curato programmi tv nazionalpopolari (da Buona domenica al Festival di Sanremo), ritiene che sull’argomento vengano distillate solo banalità. Per dimostrarlo ha pubblicato un libro, Elogio del gioco d’azzardo, che ha mitigato il mio rammarico per non aver accettato nel 1984 una sua generosa offerta di assunzione al Lavoro di Genova. Temo infatti che nel tempo libero il direttore avrebbe finito per trascinarmi al casinò di Sanremo, certo più vicino al capoluogo ligure di quello di Venezia, dove una sera, come mi ha confessato, arrivò a vincere 100 milioni di lire, salvo perdere l’intero malloppo nella settimana successiva.

Pur volendoci molto bene, fra noi vi sono alcune insormontabili differenze antropologiche. Un esempio? Lanza desidera essere sepolto sulle note di Hey Jude dei Beatles e di Mamma mia degli Abba, mentre io ho cercato invano di convertirlo a una scelta musicale più acconcia, inviandogli un cd del Beatus vir di Antonio Vivaldi nell’esecuzione dei Solisti Veneti. Ma soprattutto io non ho mai giocato né al lotto, né al Superenalotto, né al Totocalcio, né al Totip. Di passaggio a Las Vegas, non infilai neppure un cent nelle slot machine. Tentai solo di vincere la noia, che ti assale appena metti piede in quell’insensata città nel deserto del Nevada. Lo feci con una visita all’Hoover Dam, la diga sul Colorado, sbalorditivo esempio dell’ingegno umano, dove sulle turbine vidi impresso il simbolo della falce e martello: gli Stati Uniti le avevano comprate dai sovietici negli anni Trenta.

Diciamo che Lanza appartiene alla scuola di pensiero dell’autore di Cuore di tenebra, Joseph Conrad, per il quale soltanto un uomo privo d’esperienza non crede alla dea bendata. Le sue obiezioni sono oltremodo razionali: «Si ha notizia di qualche Paese dove il proibizionismo abbia ottenuto risultati positivi? È dimostrato che tutto ciò che lo Stato vorrebbe interdire, parliamo di droga, alcol e prostituzione, diventerebbe, se dichiarato fuorilegge, di totale dominio della criminalità organizzata. I divieti dovrebbero essere di natura morale? Per prima cosa, contesto che il gioco sia moralmente equiparabile a droga, alcolismo e prostituzione. Addirittura, in modo provocatorio, ho sostenuto che è educativo e andrebbe insegnato nelle scuole. In secondo luogo, in tutti gli Stati occidentali, non meno civili del nostro, il gioco è consentito, regolamentato e vigilato. Perché in Italia non dovrebbe essere così? L’industria del gioco produce lavoro, occupazione, turismo e sostiene, attraverso finanziamenti imposti dalla legge, iniziative di valore culturale».

Sgombriamo subito il campo dalla tesi, cara agli antiproibizionisti d’ogni risma, secondo cui interdire per legge una pratica umana considerata deleteria equivale a favorire la criminalità organizzata. Sarà anche così, però uno Stato ha il dovere precipuo, applicando le norme democraticamente adottate dalla maggioranza, di reprimere la delinquenza. Se le autorità preposte a farlo non ne sono capaci, per indolenza o per inettitudine, tolgano il disturbo e passino la mano ad altri dotati di maggiore fermezza.

Certo, ha ragione Lanza quando sostiene che con il gioco d’azzardo il proibizionismo non funzionerebbe, così come accade per il meretricio, la tossicodipendenza, l’alcolismo, il tabagismo. Sono piaghe endemiche che accompagnano la storia dell’umanità. Se persino nella linda e ordinata Singapore è in vigore la fustigazione per chi fa uso di droga e per gli studenti che fumano, marinano la scuola, si comportano da bulli, compiono vandalismi o disobbediscono ai docenti, significa che i comportamenti virtuosi non sono di casa in nessuna parte del mondo e che tenere in riga i cittadini con il furore dei codici è assai difficile.

Però vanno sempre preservati tre principi fondamentali. Primo: se una cattiva inclinazione non si può né sopprimere né correggere, non sta scritto da nessuna parte che debba essere incentivata, e per di più dallo Stato, come accade nel caso dei videopoker. Secondo: una società civile ha l’obbligo morale di additare alle nuove generazioni la strada della virtù, non quella del vizio. Terzo: la legge deve proteggere i più deboli, e non v’è dubbio che coloro i quali sono dediti al gioco compulsivo d’azzardo, al punto da ridurre in miseria i familiari, sono tali - deboli - ed esposti più di altri a finire in mano agli usurai o a commettere reati per assecondare la loro condotta patologica, come dimostra il caso dell’impiegato di banca infedele.

Invece che cosa fa lo Stato, questo Stato? Pensa solo a lucrare. Molto meglio i nostri Comuni, che almeno cercano di fronteggiare come possono la lebbra delle slot machine. Forse è un mio limite insuperabile, ma non riesco a scorgere alcuna connessione fra l’azzardo e il gioco. Ci vedo malattia, e basta.

Stefano Lorenzetto

www.stefanolorenzetto.it

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