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Ecco perché
Robbie ride
sempre

L’otaria Robbie, che a ogni estate, più puntuale della grandine, torna in Rai prima del Tg2 delle ore 13
L’otaria Robbie, che a ogni estate, più puntuale della grandine, torna in Rai prima del Tg2 delle ore 13
L’otaria Robbie, che a ogni estate, più puntuale della grandine, torna in Rai prima del Tg2 delle ore 13
L’otaria Robbie, che a ogni estate, più puntuale della grandine, torna in Rai prima del Tg2 delle ore 13

(...) dei telefilm, nel 1988 venne a cercarsi casa sul Garda, chiesi al corrispondente dell’Arena da Torri del Benaco, incaricato del servizio, di strappargli un autografo per mio padre, patito del poliziotto.

Non sapete chi è Robbie? Ma sì, dài che la conoscete. Almeno una volta l’avete sicuramente vista. Trattasi della femmina di leone marino adottata dal dottor Jens Lennart nel centro di accoglienza per foche di Seehagen. Dal 2014, più puntuale delle angurie e della grandine, ogni estate migra dal Nord Europa sui nostri teleschermi per tenere compagnia agli utenti della Rai prima che vada in onda il Tg2 delle ore 13. A parte che per la bellezza del paesaggio (isola di Rügen, mar Baltico), il serial si segnala per la monotonia degli episodi. Ogni giorno l’otaria è alle prese con un delinquente, manco fosse nata a Casal di Principe. Come Don Matteo e Ridge di Beautiful (la passione di Francesco Cossiga quand’era al Quirinale), finisce per diventare una di famiglia. Un sintomo di autismo interpersonale: un tempo gli amici si cercavano all’oratorio o all’osteria, non allo zoo.

Sospetto che La nostra amica Robbie mascheri una forma di pubblicità occulta dell’Italgas. Infatti c’è sempre un personaggio che, o nella cabina di un motoscafo o in qualche distilleria incustodita, finisce stordito da un mariuolo. Subito dopo l’aspirante omicida apre il rubinetto del metano. Prima che la vittima designata, esanime sul pavimento, muoia soffocata, sopraggiunge la leonessa marina, che con alte strida richiama l’attenzione del dottor Lennart o del primo passante, salvando così la vita al malcapitato.

Un altro tratto peculiare della serie televisiva è la presenza di una pettoruta dottoressa, assai graziosa anche se un po’ attempata, specialista nel misurare la pressione, auscultare il battito cardiaco con lo stetoscopio, praticare fasciature, disinfettare ferite e impartire ordini perentori ai recalcitranti che vorrebbero rialzarsi dal letto nonostante il principio di asfissia.

Le banali vicende dell’otaria si svolgono sullo sfondo di contorti ménage familiari. Lo spettatore distratto che sta avvoltolando gli spaghetti con la forchetta, in attesa del telegiornale, ha la sensazione che il dottor Lennart cambi moglie o fidanzata se non a ogni puntata quantomeno a ogni estate. Dovrebbe essere, qui in Italia, alla terza compagna; in Germania non so, perché la Rai importa il prodotto dalla Zdf, la seconda rete tedesca. Nelle due settimane appena trascorse non sono riuscito a capire se il biologo marino si spupazzi Carla Dux, sua collaboratrice nel rifugio per foche, o Anne Templin, la dottoressa tettona. Di sicuro c’è che la moglie Ulli si è risposata, lasciando in carico al suo ex marito la figlia Laura di 10 anni.

In perfetta coerenza con questi variegati intrecci sentimentali, i minorenni che approdano sull’isola di Rügen, spesso ospiti del dottor Lennart, sembrano tutti senza famiglia. Dev’essere per questo che provocano incendi e altri disastri, flirtano con la prima coetanea che gli capita a tiro e soprattutto rubano canotti che poi si bucano, si sgonfiano in mezzo al mare, vanno alla deriva, affondano, insomma fanno tutto tranne che galleggiare. In una puntata è giunto sul posto anche un padre intenzionato a ritrovare il figlio abbandonato in gioventù, ma l’incontro con il ragazzo e la ex compagna è risultato tutt’altro che agevole. «Fameiazze», famigliacce, secondo l’icastica definizione nel dialetto della Bassa che una sera a cena, tanti anni fa, colsi dalle labbra della saggia moglie del maestro Adriano Faccioli, primo organista della Cattedrale di Verona.

Essendo i protagonisti umani le vere bestie, La mia amica Robbie potrebbe prescindere dalla presenza della simil foca. L’animale, decorativo quanto superfluo, si limita a sbattere festoso le pinne e a far tremolare le vibrisse, esibendosi in un sorriso alla Berlusconi (angoli della bocca piegati all’insù, come il Joker di Batman) ogni qualvolta porta a termine improbabili missioni di salvataggio, cioè a conclusione di ogni episodio. Presumo che questo comporti un’indennità alitosi per tutti coloro che lavorano sul set.

Torniamo invece alle indennità di carica degli alti papaveri della televisione di Stato. Mica c’è solo il caso della madrina di Robbie, la predetta direttrice di Rai 2, della presidente e dell’amministratore delegato. Nel suo piccolo, anche la neoassunta direttrice di Rai 3, Daria Bignardi, si porta a casa 300.000 euro l’anno. Potenza del gne gne oppure del nuovo look, con taglio di capelli alla maschietto, tutto spuntoni e senza più tinta color castano? I maligni sostengono che la signora, già conduttrice delle prime due edizioni del Grande Fratello (per gli incarichi dirigenziali il curriculum aiuta), sia stata paracadutata a Viale Mazzini per grazia (del premier) ricevuta. «Non c’entra con il fatto che i figli miei e quelli del direttore generale frequentano lo stesso liceo», ha reagito lei. Excusatio non petita. Merita il complimento che il signor Bignardi, alias Luca Sofri, riservò a Matteo Renzi nei corridoi di La7 dopo un’intervista genuflessa della moglie: «Ciao, capo! Ottima, ottima!».

Per farla breve, in Rai è tutto un fiorire di competenze pagate a peso d’oro, quando per decidere di trasmettere le repliche di Robbie basterebbe un usciere di bocca buona. Per non parlare degli incarichi esoterici, come quello che è stato affidato a Francesco Merlo, 65 anni, pensionato, già grande firma del Corriere della Sera, poi approdato alla Repubblica (ci scrive ancora), dov’era stipendiato lautamente per pontificare sull’Italia standosene a Parigi. Adesso si è visto assegnare una mission impossible: «Strategia offerta informativa Rai e supporto del direttore editoriale offerta informativa. Mansione: professionista», sia detto a scanso di equivoci, ché i dilettanti lì non li vogliono. In che consisterà tale «supporto»? Come si sarà finora appalesato nei palinsesti? L’unica cosa che mi viene in mente è il proverbio veneto: «El merlo el canta dove el g’à el nio». Indubitabilmente Merlo fischietta da un nido caldo: 240.000 euro l’anno. Che, tramite bolletta della luce, versiamo noi teleutenti a lui, anziché lui a noi, sotto forma di canone. Chissà quale soave melodia gorgheggerà l’editorialista della Repubblica all’orecchio del direttore editoriale. Comunque do per scontato che Merlo in Rai lavori sodo: difatti non si vedono i risultati.

Nel libro paga di casa Robbie è ben retribuito anche il sonno. Carmen Lasorella, ex volto storico del Tg2 e inviata di guerra declassata al ruolo di «caporedattore direzione digital», viene retribuita 204.611 euro l’anno per non fare nulla. È stata lei stessa a dichiararlo al giornale su cui scrive Merlo: «In Rai ci sono persone pagate che non vengono fatte lavorare. Da quando nel 2014 l’azienda ha chiuso la società Rainet che presiedevo, non ho nessun incarico. E io, dopo tanti anni di carriera, sono ancora alla ricerca di un lavoro». Perciò si era candidata a dirigere gratis il tiggì della rete diretta dalla summenzionata Dallatana. Ovviamente è stata invece nominata Ida Colucci, con relativo aggravio per le casse.

Pierluigi Magnaschi, direttore di Italia Oggi, ha lanciato una proposta esemplare nella sua semplicità: abolire la Rai. Mi associo. Invece l’ente di Stato, con il passaggio al digitale, ne ha approfittato per salire da 3 a 18 canali. E vai con la moltiplicazione di direzioni, incarichi, consulenze.

In subordine, Magnaschi ha suggerito un rimedio applicabile all’istante: il licenziamento di direttori, vicedirettori e dirigenti inoperosi, per i quali il contratto di lavoro prevede l’esonero senza giusta causa con la corresponsione di un’indennità di buonuscita. Ciàpela merlo!, come si dice sempre in Veneto (tradotto in romanesco: avoja!).

Il fatto è che in Rai di sicuro non vige l’ora et labora però vale, eccome, l’altra regola degli abati dei monasteri benedettini, semel abbas, semper abbas, per cui se ti hanno fatto direttore una volta, resti direttore per sempre. Con stipendio garantito a vita.

Mi dicono che uno degli espedienti più in voga a Viale Mazzini sia il seguente: ti diamo l’incarico di direttore con adeguato appannaggio, però dal punto di vista contrattuale mantieni la qualifica di caporedattore. Il che significa appunto immunità dal licenziamento.

Capito adesso perché Robbie ride sempre?

Stefano Lorenzetto

www.stefanolorenzetto.it

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