<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">

Articolo 1: i figli
non si comprano

Elton John e David Furnish con i figli avuti da una madre surrogata
Elton John e David Furnish con i figli avuti da una madre surrogata
Elton John e David Furnish con i figli avuti da una madre surrogata
Elton John e David Furnish con i figli avuti da una madre surrogata

(...) Non crede che i figli siano un dono e non un diritto sancito dalla legge? Non crede che a un neonato spettino un padre e una madre riconoscibili? Non crede che i bambini debbano vedere la luce se e quando la natura lo consente, senza pasticciare con liquidi seminali e ovociti, manipolati dagli stregoni dell’industria biotech in base a parametri che non contemplano imperfezioni fisiche? E conclusi: si sarà accorto che, a parte Renato Brunetta, gli acondroplasici, meglio noti come nani, sono spariti dalla circolazione, pare che vengano soppressi dopo la prima ecografia.

Non vi dico la baraonda che scoppiò in sala. Zaia lo scambiò per un attacco personale. Arrivò al punto di chiedere il conforto di Michele Romano, consulente della Regione Veneto seduto in platea, circa il numero invariato delle nascite di bimbi portatori del grave handicap (a proposito, dopo 17 mesi sono ancora in attesa delle statistiche promesse).

Quegli interrogativi, di per sé laceranti, oggi sembrano diventati quasi trascurabili se si confrontano con i traffici commerciali di carne umana che sono stati apparecchiati per venire incontro alle esigenze di lesbiche, gay, bisessuali e transessuali. L’acronimo prescelto dai mercanti di bambini, Gpa, è talmente asettico da non dire nulla. Significa «gestazione per altri». Donne sventurate affittano il loro utero - una, due, tre, infinite volte, sino a che l’età glielo permette - per condurre a termine, in cambio di denaro, gravidanze acquistate con carta di credito da ricchi clienti desiderosi di portarsi a casa un figlio concepito con il seme (mescolato) fornito da due gay aspiranti «genitori», e utilizzato in vitro per fecondare l’ovulo di una sconosciuta, oppure con complicate varianti di gameti prelevati da titolari, donatori e donatrici nel caso di coppie lesbiche o infertili. In pratica sono state aperte dovunque, soprattutto nel Terzo mondo ma anche in Europa, fabbriche di bambini affollate da incubatrici viventi. Dopo nove mesi, il nascituro viene strappato nel giro di poche ore dal seno della madre che lo ha partorito e consegnato all’Elton John di turno. Chi ha il portafoglio a fisarmonica va a comprarsi un bebè negli Stati Uniti, spendendo fino a 120.000 dollari.

Basta farsi un giro su Internet per scoprire che un figlio à la carte è ordinabile da chiunque, coppie eterosessuali incluse, ovviamente. Un «center for human reproduction» con sede a Kiev mette a disposizione «ovociti freschi» e «donatori che soddisfano tutte le singole esigenze dei pazienti». Si può scegliere fra sette diverse formule, da «Successo assicurato (9.900 euro) con numero illimitato dei tentativi e rimborso dei soldi nel caso del fallimento» a «Ideale, pacchetto d’ovodonazione (9.900 euro) con passaggio al “bimbo in braccio”», formula alquanto esoterica ma parecchio ardita se comporta un supplemento di 29.900 euro, fino a «Vip surrogacy (49.900 euro) per la maternità surrogata».

La clinica ucraina si avvale di uno staff comprendente, fra gli altri, un primario, due embriologi, due dottori in medicina riproduttiva, un’ostetrica-ginecologa, un ecografista, un anestesista, una psicologa e tre interpreti per «clienti italofoni». Nel sito compaiono i loro volti. Solo che, su 26, più della metà, 15, hanno preferito non farsi fotografare. Si vergogneranno? «Vogliamo fare i migliori auguri alla nostra cliente più matura, con i suoi 66 anni. Ha dato alla luce due splendidi gemelli sani», gongolano i preclari professionisti, altamente specializzati in «ovodonazione, spermiodonazione, embriodonazione, embrioadozione». Mancherebbe l’autofecondazione, ma tempo al tempo.

I proprietari della fabbrica di orfani all’origine pubblicano anche le immagini dei pargoli usciti dalle loro provette, con questa didascalia: «Siamo fieri del nostro lavoro. Potete vedere i risultati dei nostri medici e degli embriologi!». Proprio così: non «figli», bensì «risultati». Mi sono scaricato il «contratto tra genitori-clienti» e la clinica di Kiev, nel quale la medesima «accetta la fornitura dei servizi descritti nell’articolo 1, relativi al pacchetto Vip surrogacy». Capito? I bimbi sono «servizi» per «clienti». Leggo: «L’agenzia si impegna a tutelare la madre surrogata durante la gravidanza e controllare che la stessa non svolga attività che possano mettere in pericolo la gravidanza». Traduzione: l’utero, una volta «riempito», verrà sottoposto a sorveglianza poliziesca. Visto che il tutto avviene nel blocco ex sovietico, avrei pronto un titolo appropriato per questo orribile film, Le vite degli altri, ma purtroppo è già stato girato nella defunta Ddr.

Non crediate che certe cose accadano solo a Kiev o a Berlino. A Roma, per esempio, un noto ginecologo coltiva gli spermatozoi umani su tessuti ricavati dai testicoli dei topi e si vanta di far nascere i bambini con questa tecnica. Siamo sulla strada dell’homunculus che i discepoli di Paracelso tentarono di creare verso la fine del 1500 alla corte di Rodolfo II d’Asburgo, facendo marcire il seme maschile in un ventre di cavalla nella speranza di veder «nascere un vero e vivo fanciullo umano».

Il triangolo di verità lapalissiane composto da padre, madre e figlio non può essere distrutto, chi gli manca di rispetto si distruggerà, avvertiva il grande Gilbert Keith Chesterton. Dunque perché sui temi che riguardano la vita non ci si attiene alle leggi naturali? Siamo ancora qua a discutere se siano ammissibili gli Ogm in agricoltura eppure il concetto di organismo geneticamente modificato viene applicato alla pianta uomo, con azzardosi esperimenti di laboratorio. Il grano e la polenta hanno più difensori dei bambini. Qualcosa non va.

Eh, ma se lasci fare alla natura, quella ti provoca anche il cancro, obiettano gli specialisti in ragionamenti speciosi. Sta di fatto che se un bimbo nasce da un uomo e da una donna, un motivo ci sarà. Atteniamoci all’ordine primigenio, no? Anche gli omosessuali si sono sempre accontentati di venire al mondo con questo sistema.

A me pare che non siano in gioco né la felicità delle coppie gay né la pretesa di una genitorialità negata dalla biologia. Qui si sta facendo bottega di quel bene indisponibile che chiamasi vita. Siamo all’ultima frontiera del capitalismo più sfrenato: l’individuo unisex, maschio o femmina a seconda di come tira il vento, dispensato dall’incombenza di procreare. Conta solo che spenda, che consumi, che compri: anche i figli. E c’è forse in commercio una carne più costosa di quella umana? Parliamo di 40.000 dollari il chilo, per stare alle quotazioni del mercato statunitense, dove il turpe giro d’affari supera i 500 milioni di dollari l’anno.

Ma sì, perché sprecare il sesso in un’attività tanto banale, anziché per il solo divertimento, quando con i soldi puoi costringere una madre surrogata a caricarsi delle ansie dei nove mesi di gravidanza e ottenere pupi più perfetti di Cicciobello e della Barbie, con la statura giusta, gli occhi e i capelli del colore desiderato e il quoziente d’intelligenza di un ricercatore universitario ben felice di farsi mungere per mantenersi agli studi?

Basta guardarsi attorno: è stata messa in campo la più massiccia operazione planetaria di consenso per promuovere come buona e giusta una società dalla sessualità fluida e indistinta, che ha le sue icone in Eddie Redmayne, l’efebico interprete del pittore transessuale di The danish girl; Jared Leto, premiato con l’Oscar per Dallas buyers club; Miley Cyrus e Cara Delevigne; Jaden, figlio di Will Smith, classificato genderless perché nella pubblicità di Louis Vuitton indossa la gonna; Shiloh, figlia di Brad Pitt e Angelina Jolie, che già a 4 anni aveva deciso, con l’appoggio dei genitori, di vestirsi da maschio e farsi chiamare John. E chi doveva inaugurare Ballando con le stelle su Rai 1, quella che un tempo passava per la rete democristiana? Conchita Wurst, la cantante austriaca che ha la barba ma non le tette, trattandosi di un uomo, già osannata al Festival di Sanremo 2015. Per fortuna ha dato forfait all’ultimo momento.

Tutto procede secondo le magnifiche sorti e progressive dell’umana gente, per dirla con Giacomo Leopardi, e viene da chiedersi dove il poeta di Recanati, così arretrato da ostinarsi a spasimare per la figlia del cocchiere, troverebbe oggi le parole per commentare un simile quadretto. Gioirà il professor Umberto Veronesi, che dal 2007 inneggia all’avvento di una civiltà bisessuale in quanto «la specie umana si va evolvendo verso un “modello unico”» che «finirà per privare del tutto l’atto sessuale del suo fine riproduttivo».

Con scienziati ed ex ministri della Sanità di tale fatta, non possiamo certo aspettarci di vedere approvato in Parlamento il più breve disegno di legge che sia mai stato scritto: «Articolo 1. I figli non si comprano».

Stefano Lorenzetto

www.stefanolorenzetto.it

Suggerimenti