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Arrivò in autostop,
oggi guida Bmw

Sergio Solero, presidente di Bmw Italia, con la Bmw i8. Si trasferì provvisoriamente a San Bonifacio e prese a prestito la Mini della nonna
Sergio Solero, presidente di Bmw Italia, con la Bmw i8. Si trasferì provvisoriamente a San Bonifacio e prese a prestito la Mini della nonna
Sergio Solero, presidente di Bmw Italia, con la Bmw i8. Si trasferì provvisoriamente a San Bonifacio e prese a prestito la Mini della nonna
Sergio Solero, presidente di Bmw Italia, con la Bmw i8. Si trasferì provvisoriamente a San Bonifacio e prese a prestito la Mini della nonna

(...) Milanese, in un avveniristico grattacielo di acciaio, cristallo e granito ceramico progettato dall’architetto giapponese Kenzo Tange, ci rimasi davvero male, lo vissi come un torto, mi parve che per la nostra provincia fosse una perdita irreparabile (lo fu).

Adesso che Bmw Italia compie 50 anni (e Bmw group 100), ho fatto però una felice scoperta: la consociata tricolore del colosso tedesco in realtà continua a parlare veneto, perché Sergio Solero (accento acuto sulla prima «o», Sólero), che ne è il presidente e l’amministratore delegato, è uno di noi, viene dalle nostre parti. È stato lui stesso a raccontarmelo.

Laureato in ingegneria gestionale al Politecnico di Milano, Solero festeggerà nel 2017 i suoi primi vent’anni di attività in Bmw. Arrivò infatti a Palazzolo di Sona il 16 giugno 1997. Facendo l’autostop. La bizzarra circostanza merita una digressione a partire dalle origini.

Solero è nato nel capoluogo lombardo, ma ha nelle vene sangue veneto. Il padre Carlo Lazzaro, per molti anni neurochirurgo prima a Verona e poi all’Istituto neurologico Besta di Milano, è originario di Sappada, nel Bellunese. La madre Lucia, già insegnante di arte e poi di sostegno nelle scuole statali, è nativa di San Bonifacio. Nonostante il trasferimento a Milano, Sappada è rimasta la Heimat della famiglia Solero, «la patria cui si sente di appartenere con il cuore, la terra natia, voi italiani non possedete questo concetto, non potete capirlo», come mi spiegò un giorno Silvius Magnago, leggendario leader della Südtiroler Volkspartei, «il luogo dove ti senti a casa», aggiunge Solero, che infatti lì si ritrova con tutti i suoi cari almeno un paio di volte l’anno.

Il ventiseienne, fresco di laurea, mandò il suo curriculum alla Bmw Italia. Fu assunto come impiegato di quarto livello. Per essere più vicino al posto di lavoro, si trasferì provvisoriamente a San Bonifacio, nella casa della nonna materna, Nella. «Suo padre Benigno le aveva sempre impedito di conseguire la patente», mi ha raccontato Solero, «perché diceva che solo gli uomini dovevano condurre le auto, le donne no. A 97 anni il genitore decise di ritirarsi in una casa di riposo. L’indomani la figlia, che di anni ne aveva già 72, s’iscrisse a una scuola guida e prese la patente. Fu lei a prestarmi la sua auto, una Mini di seconda mano, per raggiungere Palazzolo di Sona. Purtroppo, al primo giorno di lavoro, sulla A4 andai a infilarmi sotto un camion che trasportava mucche. Uscii illeso dalla vettura sfasciata. E dal giorno dopo cominciai a farmi San Bonifacio-Verona in treno, dopodiché alla stazione di Porta Nuova ricorrevo all’autostop per raggiungere la sede della Bmw Italia».

Non potendosi permettere l’acquisto di un’auto, neppure usata, l’estenuante tran tran, che avrebbe abbattuto anche un toro, proseguì per più di un anno, fino ad agosto del 1998, quando Bmw Italia emigrò nel Milanese. Per ascendere dal quarto livello al settimo cielo (è lì, al settimo piano del palazzo disegnato da Tange, che si trova il suo ufficio), il manager, sposato e padre di tre figli di 13, 11 e 9 anni, ha dovuto percorrere un impegnativo cursus honorum che lo ha visto ricoprire vari ruoli in Bmw Italia, poi a Madrid come direttore aftersales di Bmw España e infine a Singapore come managing director di Bmw group Asia, da cui dipendono 14 mercati, dalla Cambogia al Brunei.

La prima Bmw guidata da Solero fu una 318 Tds touring: «Non potendo permettermi di acquistarla, la presi a noleggio nel luglio del 1998 per andare in vacanza in Irlanda con Chiara, che poi sarebbe diventata mia moglie. Vennero con noi mia sorella e il suo fidanzato. Dovevamo pernottare nei bed and breakfast. Sbarcammo dal traghetto che erano quasi le 23 e non ne trovammo uno in tutta Dublino, per cui abbattemmo i sedili della 318 e dormimmo in auto. Fu lì che cominciai ad apprezzare la versatilità delle Bmw». Al presidente però è rimasta nel cuore la M5 E39 color Estoril blau utilizzata nel giorno del suo matrimonio: «La presi in prestito dall’azienda. È una tradizione che manteniamo tutt’oggi. I dipendenti che si sposano possono chiederci qualunque auto per la cerimonia, Serie 7 inclusa».

Ne ha fatta di strada Bmw Italia da quando nel 1966 l’importatore Luigi Sodi, che acquistava direttamente le vetture a Monaco di Baviera e le commercializzava nel nostro Paese, ebbe l’intuizione di aprire la prima sede nel Veronese, lungo l’asse del Brennero. Oggi, con un fatturato di 2,53 miliardi di euro, l’Italia rappresenta per l’insegna biancoceleste il sesto mercato a livello mondiale. Nel 2015, a dispetto della crisi, ha venduto 49.732 Bmw e 22.008 Mini, per un totale di 71.740 veicoli, con un incremento del 14,3 per cento sull’anno precedente. Da 250 dipendenti è salita a 1.071, il 328 per cento in più. Insomma, il fertilizzante veneto le ha giovato molto.

C’è voluta la fantasia di Solero per compiere, in tempi di stagnazione economica, una scelta coraggiosa che si è rivelata vincente: quella di puntare sulle persone anziché sulle cose. Il presidente della Bmw Italia ha capito che i concessionari sono i suoi migliori alleati: «E lo saranno anche in futuro, altrimenti dovremmo concludere che le relazioni interpersonali sono inutili, superate, e io mi rifiuterei di vivere in un mondo così», mi ha detto. «In materia ho maturato una sensibilità particolare. Rientrai in Italia come direttore delle vendite nel 2011, affrontando il triennio forse più terribile nella storia dell’auto. Vendere era diventato un verbo indeclinabile, in quel periodo. Bisognava però sostenere la rete e mantenere il servizio. Eravamo sempre stati i leader nei Suv di lusso. Il governo Monti introdusse il superbollo, che ebbe un impatto devastante su X5 e X6. Dalla sera alla mattina non riuscimmo più a venderne uno. Un giorno entrai in questo stesso ufficio e dissi al mio capo, Franz Jung: “Ho una proposta da farti. Dobbiamo ricomprarci 750 fra X5 e X6 ferme presso i nostri concessionari e già fatturate”. Mi guardò sbigottito e replicò: “Noi le vendiamo, le automobili, non le compriamo”. Gli spiegai che la domanda s’era bloccata, che mantenere quelle vetture in Italia avrebbe danneggiato il nostro brand. Capì e approvò. Naturalmente avevo già concordato il riacquisto con i dirigenti a Monaco di Baviera, i quali non ebbero difficoltà a piazzare i 750 Suv nella rete di vendita tedesca. Credo che in quel momento i concessionari siano diventati i nostri migliori amici».

Bmw gode di un prestigio elevatissimo. Nel 2015 il Reputation institute l’ha classificata al secondo posto nella graduatoria mondiale, dopo Google e prima di The Walt Disney company, Microsoft, Daimler, Lego, Apple, Intel, con Rolls-Royce, altro suo brand, al nono posto davanti a Rolex. Ho chiesto a Solero quale fosse il suo segreto per mantenere un simile prestigio universale: «Serve una strategia chiara costruita nel tempo, non certo da un anno all’altro. È come se lavorassimo per i posteri, più che per noi, in modo da tramandare intatti i valori fondamentali che ci sono stati consegnati».

Fra questi valori l’ambiente figura al primo posto: «Rispetto al 1995 abbiamo abbassato le emissioni di anidride carbonica della nostra flotta del 39,5 per cento a livello mondiale e quasi del 50 per cento a livello europeo; ridotto il consumo di risorse nei nostri stabilimenti in media del 48 per cento; aumentata la quantità di energia elettrica ottenuta da fonti rinnovabili, portandola al 58 per cento nel 2015».

Ma Bmw Italia è impegnata anche in attività di responsabilità sociale d’impresa. Gli ho domandato: vi fanno vendere più automobili? «Non lo so e non m’interessa neppure troppo saperlo. Le sosteniamo perché è giusto così. Siamo molto fortunati, sia come persone sia come azienda, e qualcosa dobbiamo restituire alla comunità. Quindi capovolgerei la sua domanda: perché non incoraggiarle? Magari ne facessimo tutti di più! Sarebbe un Paese migliore e forse riusciremmo anche a curare l’individualismo estremo che affligge noi italiani».

Quando pensa all’auto del futuro, Solero se la prefigura «elettrica, non più ibrida, connessa con il mondo, capace d’interpretare in tempo reale i dati relativi a percorsi, traffico, semafori, parcheggi, e in grado di guidare da sola». È convinto che nel giro di cinque anni l’auto elettrica potrà raggiungere un’autonomia di 500 chilometri: «Resta il problema delle colonnine di ricarica. Per risolverlo sono indispensabili incentivi governativi. La Danimarca è più piccola e meno ricca della Lombardia, eppure conta già 7.000 stazioni di servizio elettriche».

Gli ho posto un’ultima domanda: ma all’auto che vola ci crede? «Da bambino la disegnavo sempre, era il mio sogno. Quindi ci arriveremo di sicuro». E mentre rispondeva gli ridevano gli occhi, come succede solo ai fanciulli.

Stefano Lorenzetto

www.stefanolorenzetto.it

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