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Verso l'adunata

Soldato Giulia, una donna al 7° reggimento alpini

di Giovanni Matteo Filosofo
Associazione - Giulia Ossato con una collega G.M.F.
Associazione - Giulia Ossato con una collega G.M.F.
Associazione - Giulia Ossato con una collega G.M.F.
Associazione - Giulia Ossato con una collega G.M.F.

È l’unica consigliere rosa, fino al 2025, nella sezione alpini di Vicenza; contemporaneamente è coordinatrice del gruppo giovani Ana del Triveneto, e capozona della zona Monte Cimone, forte di 8 gruppi.

Lei è Giulia Ossato, quasi 34 anni, studi al liceo delle scienze sociali “Martini” di Schio, lavoro in una fabbrica di Carrè. La sua famiglia è originaria di Laghi. Giulia, dopo aver a lungo vissuto a Velo d’Astico, vi è tornata ad abitare per 12 anni, nella casa dei nonni, in contrà Molini. Poi, per amore del suo Simone, ha deciso di trasferirsi a Piovene Rocchette, dove oggi risiede. Una donna che è alpino, nel profondo dell’animo e nelle scelte fatte. Un amore iniziato poco dopo gli esami di maturità, e continuato seguendo una passione mai tradita.

«In verità - dice Giulia – ho ereditato una passione che era già presente in famiglia: fin da piccola andavo sempre alle cerimonie patriottiche con papà e nonno. Alle superiori avevo l’idea di diventare alpino, ma ero ancora giovane e l’ho abbandonata. Poi, la folgorazione, quando nel 2008, andando a Bassano del Grappa, dove si teneva l’adunata nazionale, ho visto due ragazze in divisa. Mi sono detta che quella era la mia aspirazione e... sono partita subito dopo gli esami di Stato, per il servizio militare volontario. Dapprima il Rav, il Reggimento addestramento reclute, l’ex Car, ad Ascoli. Dopo tre mesi di duro addestramento, l’invio al 7° reggimento alpini di Belluno; infine il congedo, forse mai completamente accettato».

Che ricordi ha di tale esperienza?
«C’è soprattutto una grande nostalgia per quella bellissima esperienza che mi ha formata, anche superando non facili prove, sia durante l’addestramento che al reparto. Noi, ragazze, ci si sosteneva a vicenda, rincuorandoci, soprattutto nei momenti più difficili. Parecchie non ce l’hanno fatta già al Rav. Altre, finiti i due anni di servizio, hanno superato i concorsi, a cui anch’io aspiravo. Quando non ci sono riuscita, ho dovuto farmene una ragione, e ricominciare una nuova vita, conservando, come preziosi tesori, i miei ricordi, e continuando a coltivare amicizie con alcune delle mie compagne. Tre sono abruzzesi e ci incontriamo ogni anno, dato che, col gruppo alpini di Laghi, gemellato con quello di Isola del Gran Sasso, partecipo alle loro celebrazioni. È un legame che torna, e che si rinforza».

Veniamo al suo impegno d’alpino, e all’amore per penna e cappello. Da dove nasce tale forte sentimento?
«Dal cuore, penso è una cosa che nasce dall’animo, da dentro, e che resta, fa fatica a sparire, anche se nel tempo ci sono altre priorità. Certi valori, tipici degli alpini, non si possono dimenticare: la solidarietà, l’amor patrio, l’essere sempre pronti ad accorrere per qualsiasi necessità ed emergenza. Anche i piccoli Comuni contano molto sugli alpini. A Laghi, per esempio, gli alpini hanno preso in carico la cura dell’ex cimitero austroungarico dei Vanzi. Poi, ci sono le collette alimentari, le attività con le scuole, la consegna dl tricolore agli alunni… E il culto dell’amicizia. In questi nove anni di esperienza ho conosciuto alpini di tutta Italia».

Sono questi valori che ha cercato di diffondere nelle vesti di coordinatrice del gruppo giovani Ana del Triveneto?
«Sì, sono nelle mie corde. Fosse per me, recupererei la leva obbligatoria, anche solo per sei mesi, perché serve molto. Un pò di disciplina, un po’ di rispetto, oggi mancano. E ce ne sarebbe molto bisogno, in una società che mi sembra abbia perso il senso del limite e il valore del dovere».

Si è mai sentita discriminata, in quanto donna, nelle attività di gruppo e di sezione, nelle adunate, nelle cerimonie, dove prevale l’elemento maschile?
«Mai. Anzi, sono sempre stata rispettata, nessuno mi ha fatto sentire inferiore. Oggi, di donne in divisa ce ne sono tante. E questo è positivo per quel particolare quid che possono dare».

Ci sono palesi orgoglio e fierezza nel portare il cappello d’alpino. Cosa riveste per lei tale capo d’abbigliamento?
«È un simbolo, che amo. Guai a chi me lo tocca. All’adunata nazionale di Bolzano ho rischiato di perderlo. Era sparito. In verità, erroneamente era stato portato da un’altra parte. Sono scoppiata in lacrime. È un oggetto, ma che in realtà racchiude tutti i valori dell’essere per sempre alpino»