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Verso l'adunata

Quando fu sciolta la Cadore la brigata degli alpini vicentini

di Andrea Mason
andrea.mason@ilgiornaledivicenza.it
La grande unità nata nel 1953 venne chiusa, nel quadro della riorganizzazione dell’Esercito italiano, il 31 gennaio del 1997. Quel giorno un migliaio di alpini berici, con tutti i rappresentanti dell’Ana, salirono a Belluno per assistere alla cerimonia di commiato non senza qualche lacrima e molte perplessità per la scelta compiuta dai vertici militari
La cerimonia di chiusura Il 10 gennaio del 1997 in piazza a Belluno l'addio alla Brigata Cadore
La cerimonia di chiusura Il 10 gennaio del 1997 in piazza a Belluno l'addio alla Brigata Cadore
La cerimonia di chiusura Il 10 gennaio del 1997 in piazza a Belluno l'addio alla Brigata Cadore
La cerimonia di chiusura Il 10 gennaio del 1997 in piazza a Belluno l'addio alla Brigata Cadore

Nei registri ufficiali la data di nascita è 1° luglio 1953. Ma le origini affondano nella storia e risalgono ad almeno un secolo prima. Sulla data di “morte” invece pochi dubbi: 31 gennaio 1997. Era la mattina del 10 gennaio del 1997 quando, con i reparti schierati in piazza dei Martiri, è stato dato l’ultimo saluto a una Brigata, l’Alpina Cadore, che si accingeva così a entrare nella storia dell’Esercito italiano e delle truppe alpine.

Quel giorno il GdV c’era. Gli alpini berici salirono a Belluno in almeno mille: dalle sezioni di Vicenza e Bassano, da Marostica, Valdagno e Asiago. Erano saliti per dare l’addio alla “loro“ brigata, la Cadore. La più vicentina di tutti i reparti dell’Esercito. In prima fila i presidenti berici del tempo: Busnardo, Menegotto, Bonomo, Danieli e Adrogna, con i gagliardetto dei gruppi in rappresentanza dei 35 mila aderenti all’Ana tesserati (era il 1997) nel solo Vicentino.

L’ultimo saluto alla Cadore durò centodieci minuti: composti, silenziosi, commoventi a tratti, comunque dignitosi. La Cadore se n’è andata sull’attenti. Senza mai aver combattuto per sua fortuna alcuna guerra, perdendo l’unica battaglia che ne ha minato l’esistenza.

Era una giornata prima plumbea, poi squarciata da un velo di sole che brillò illuminando la neve caduta sul monte Serva, il massiccio bruno e spoglio poco più a nord della caserma Fantuzzi, ex sede del Comando.

Ad assistere all’ultima parata della Brigata si erano presentati in almeno diecimila. Solo la sezione di Vicenza, col presidente Silvio Adrogna in testa più i tre vice Antonio Moro, Antonio Pellizzaro e Giuseppe Galvanin riempiva un tratto lungo così di piazza.

Tra le penne bianche spiccava quella del generale Domenico Innecco, che la Cadore l’aveva comandata.

La gente, ricordo. Tantissima. Tutti col cappello alpini calato sul capo. Veci e bocia. Curiosi, qualcuno che abbozzava una lacrima. Nessuno col sorriso. Gravi nel silenzio.

In piazza dei Martiri rimasero composti gli ex alpini nel giorno dell’addio alla “loro” Cadore. Perchè ad ascoltarli, al di là di ogni considerazione di carattere strategico-militare, politico, di riorganizzazione e di spending-review, come si direbbe oggi, quello fu il giorno di un funerale. Un solo grande striscione: «Truppe alpine. Oggi, delusione e rabbia. Domani una speranza e un monito».

La fanfara della Cadore è rinata dopo l'addio della brigata
La fanfara della Cadore è rinata dopo l'addio della brigata

In piazza per congedare la Brigata fece il suo composto dovere, al di là di quanto avrebbe indicato il protocollo, perfino il generale Bonifazio Incisa di Camerana, capo di Stato maggiore dell’Esercito. Al suo fianco il generale Angelo Becchio, comandante del (fu) 4° Corpo d’Armata Alpino. E con loro l’ultimo generale della Cadore che di nome faceva, ironia della sorte Primo, Gadia.

Cerimonia solenne di fronte ai reparti schierati in armi. C’erano il 16° reggimento Belluno e il 7° Reggimento Feltre, i due soli che non sarebbero stati sciolti, confluendo nella Julia. La Cadore uscì dai ranghi dell’Esercito in punta di piedi. Non bastarono le interpellanze datate tre anni prima e firmate da 150 deputati, non furono sufficienti i comitati promossi dai comuni del Bellunese.

A salutare la Cadore c’era anche l’allora presidente dell’Ana, Vittorio Caprioli col labaro dell’associazione. Sotto la lapide dedicata a Dino Buzzati la Cadore se ne andò in parata. Nella sua storia non si raccontano fatti di guerra e di eroismo, ma di solidarietà e di soccorso in occasioni di tragiche calamità nazionali: dagli aiuti prestati dai suoi alpini subito dopo la tragedia del Vajont che toccò profondamente le penne nere, ai terremoti in Friuli e Irpinia fino all’alluvione del Friuli.

Una brigata “buona”. Legata alla terra natale e alla sua gente. Forse per questo tanto amata dai vicentini che negli anni della naja contribuirono in maniera significativa alla sua composizione. Tanto che alla Cadore venne conferita la cittadinanza onoraria sia da Marostica (1992) che da Bassano ( 1994). L’ultima volta che gli alpini della Cadore si videro in armi dalle nostre parti correva l’anno 1991, in concomitanza con la prima guerra nel Golfo, quando furono impegnati massicciamente in servizi di ordine pubblico.

A Belluno quel giorno un’anziana penna nera mi si avvicinò: «È vero che scioglieranno gli alpini»? Non andò così, ma poco dopo anche la brigata Tridentina (come già l’Orobica, nel ’91) chiuse i battenti. Alla fine restarono Julia e Taurinense.