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Enzo Biagi

Il gelo russo e l’Operazione Saturno

Nell’aprile del 1942, accompagnato dal Führer, il Primo maresciallo dell’Impero sorvola su un quadrimotore Condor la pianura russa. Divide il rancio speciale con la truppa: minestra di legumi, carne in scatola, pane nera e una arancia. Ha spedito laggiù altre sei divisioni; ci sono anche gli alpini della Julia, della Tridentina e della Cuneense. Il partito fascista è rappresentato da quattro brigate di camicie nere. «Andar per l’Ucraina - racconta Eugenio Dollmann che come interprete seguiva la spedizione - era molto bello: piena di fiori gialli, di campi di frumento, di ragazze che portavano il pane e il sale. Mussolini voleva fermarsi davanti a ogni casa e lasciare qualche monetina, mentre Hitler parlava, parlava, parlava...».

Quando arriva il tremendo inverno, scatta l’Operazione Saturno, e i sovietici ci considerano l’anello più debole. Ci chiamano «Cikai», che brutalmente vuol dire «scappa». Poca voglia di combattere e basso grado di istruzione. Un tenente siciliano dice: «Che friddo, matre mia benedetta. Fa più friddo di ieri che già fece friddissimo».

La popolazione ci considera i più umani. E durante il ripiegamento, «si toglie il pane e le patate di bocca» per darli a quei poveracci. Lo testimonia Giulio Bedeschi, medico e scrittore, che racconta la grande ritirata: «Ci avevano distribuito una scatoletta e due gallette dicendoci di farne conto. Per quindici giorni abbiamo vissuto di semi di girasole trovati nelle capanne, nelle fessure dei cassetti, dei tavoli. I soldati andavano a frugare nei letamai, tiravano fuori una rapa, una barbabietola marcia. Scendeva la notte, ma guai se ti addormentavi: voleva dire assideramento nel sonno. Si faceva cerchio e ci si accucciava, quattro, cinque compagni, e ognuno faceva la guardia per qualche minuto. E poi combattimenti quotidiani che ci falcidiavano. Ogni tanto qualcuno cadeva. Restavano lì, e sono rimasti lì per sempre».

Si contano le perdite: 84.830 soldati, 3.060 ufficiali. Un poeta russo, Svetlov, dedica una lirica a quegli sconfitti: «O giovane nato a Napoli, che cosa cercavi sui campi della Russia? Perchè non sei rimasto là, felice, nel celebre tuo golfo?».