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Mario Maffi

1957. Un alpino alla scoperta delle foibe

Il piantone mi annunciò al generale che da pochi giorni aveva sostituito Ciglieri destinato ad altri incarichi e dopo qualche minuto mi ricevette venendo subito in argomento: «Per una certa missione ci occorre un ufficiale esperto di esplosivi, capace di muoversi, fotografare e rilevare in grotte. Al momento attuale in Italia non esistono molti elementi con le caratteristiche richieste. Lei è uno di questi. Per la verità siete solo in due: lei e un altro suo collega che attualmente è in Sardegna - fece una breve pausa e proseguì -. Naturalmente la missione è volontaria. Nessuno la obbliga ad accettare. Non le nascondo che comporta anche un certo rischio ed è coperta da segreto militare».

«Sta bene signor generale, conti pure su di me». (...) All’alba il viaggio riprese e la nuova tappa fu una caserma dei carabinieri di Monfalcone. Il colonnello conferì con il capitano comandante la sezione mentre io attesi fuori dall’ufficio. Quando uscì mi invitò a verificare bene il funzionamento della mia attrezzatura fotografica, perchè al mattino avremmo iniziato con una prima foiba. Il mio compito sarebbe stato quello di fotografare, rilevare e raccogliere eventuali campionature. Foiba. Era la prima volta che sentivo pronunciare quel nome. Intuii che doveva trattarsi di un pozzo e che quello era certamente un termine locale.

Avrei dovuto fotografare, cosa? Prelevare campioni, quali? Interrogativi che mi tenni in gola ma non azzardai a fare domande (...) Al fondo di quelle foibe riscontrai diversi resti umani, non in quantità esorbitanti ma, purtroppo in condizioni atroci: un paio di crani più o meno sfondati, mani o piedi avvolti da filo di ferro, alcune costole ancora unite alla spina dorsale avvolte da filo spinato. Alcuni portavano lembi di stoffa putrescente, altri non avevano tracce d’indumenti. Su una pietra una ciocca di capelli piuttosto lunghi, neri, probabilmente di una donna. In tutte quattro le foibe osservai che quei resti erano parzialmente ricoperti da pietrisco. Evidentemente con l’esplosivo erano state fatte saltare le rispettive imboccature allo scopo di celarne il macabro contenuto.