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«Salute
pubblica
e pericoli»

Nell’articolo pubblicato il 31 maggio a firma Matteo Bernardini dal titolo “inchiesta sui Pfas, non ci sono basi scientifiche certe”, sono riportate alcune affermazioni attribuite al procuratore capo di Vicenza Antonino Cappelleri che, a nostro avviso, meritano di essere chiarite. Premesso che concordiamo con il procuratore quando afferma che non è compito della procura dare risposte scientifiche “certe”, vogliamo ribadire che la pericolosità dei Pfas nei confronti dell'uomo, degli animali e dell’ambiente è oramai nota da anni. Per esempio il Pfos, la cui produzione fu sospesa negli Usa fin dal 2002, è stato inserito nella lista dei Pop della convenzione di Stoccolma nel 2009. Tutti i Pfas sono compresi nella lista dei “distruttori endocrini”, molecole in grado di alterare il funzionamento delle ghiandole endocrine e di interferire con il normale sviluppo del feto e dei bambini. Che i Pfas siano interferenti endocrini, e possano provocare profonde perturbazioni del metabolismo lipidico e ormonale, con possibili effetti tossici su un numero potenzialmente elevatissimo di soggetti di tutte le età, c’è accordo unanime nella comunità scientifica internazionale, anche nell’Oms e nell’Istituto superiore di sanità (Iss) italiano. L’interferenza endocrina dei Pfas è probabilmente ancora più pericolosa della loro cancerogenità.

Recentemente, oltre 200 scienziati di varie nazioni hanno firmato l’appello di Madrid con il quale si chiede ai governi di limitare l’uso dei Pfas, anche dei nuovi a corta catena, ai soli usi veramente essenziali. Negli Usa il Pfoa, bandito in quel paese dall’inizio di quest’anno, è considerato come possibilmente cancerogeno nell’uomo fin dal 2005, giudizio poi ribadito dalla Iarc di Lione, un’agenzia dell’Organizzazione mondiale della sanità, che nel giugno 2014 ha classificato il Pfoa come agente cancerogeno di classe 2B, cioè sicuramente cancerogeno per gli animali e, possibilmente, anche per l'uomo.

Questo significa che la cancerogenicità del composto è stata accertata negli animali ma, pur essendoci forti sospetti per un’analoga azione nell'uomo, gli studi finora condotti sono insufficienti o hanno fornito risultati contrastanti. Per ribadire il concetto, affermare che una sostanza è forse cancerogena per l’uomo non significa che la stessa sia sicuramente non cancerogena.

Lo stesso Istituto Superiore di Sanità ha affermato che alcuni di questi studi, “…condotti in relazione agli effetti sanitari dell'esposizione a Pfas, presentano i requisiti e le caratteristiche di elevata affidabilità e riproducibilità, di potenza statistica ed informatività a livello individuale richiesti affinché essi possano essere inclusi nel processo di valutazione del rischio per l’uomo associato all'esposizione a composti perfluoroalchilici”. Gli studi cui fa riferimento la prestigiosa istituzione italiana furono condotti su una comunità della Virginia involontariamente esposta all’acqua “potabile” contaminata dalla Dupont negli Stati Uniti. Ricordo che questi studi hanno evidenziato nella popolazione esposta una maggiore frequenza, da due a tre volte, rispetto alla popolazione non contaminata da Pfas, delle seguenti malattie: cancro del rene, cancro dei testicoli, malattie della tiroide, ipercolesterolemia, colite ulcerosa, ipertensione della gravidanza.

Molte di queste patologie, per esempio ipercolesterolemia e/o tumori di vario tipo, sono stati dimostrati essere molto più frequenti nelle popolazioni più esposte, per esempio lavoratori addetti alla produzione di Pfas, nelle popolazioni esposte ad elevate concentrazioni di Pfas nell'acqua potabile e anche nella popolazione generale.

Inoltre, uno studio Isde-Enea presentato ai primi di maggio a Roma, in corso di pubblicazione su una prestigiosa rivista scientifica internazionale, ha osservato un eccesso di mortalità negli anni 1980-2009 nei 24 comuni del Veneto più pesantemente contaminati da Pfas rispetto a quelli la cui acqua potabile era priva di Pfas. Le cause di morte per le quali abbiamo osservato un eccesso rispetto all’atteso sono cancro del rene (come negli Usa) nelle done , e altre malattie che possono essere il risultato dell’ipercolesterolemia cronica: malattie cerebrovascolari (ictus), cardiovascolari e malattia di Alzheimer. Infine, in seguito alla pubblicazione di studi recenti che hanno evidenziato la comparsa di effetti tossici soprattutto sul sistema immunitario e sullo sviluppo neurocognitivo dei bambini, di recente negli Stati Uniti il 19 maggio l’Epa ha ridotto il limite massimo congiunto per Pfoa e Pfos a 70 ng litro nell'acqua potabile, mentre l'Italia i corrispondenti valori massimi sono di 530 ng litro (30 per il Pfos e 500 per il Pfoa). L’agenzia americana ha proposto questi limiti federali, ma lo stato del Vermont ha fissato addirittura un limite massimo di 20 ng/litro per il Pfoa, per “tutelare in particolare la salute dei bambini e delle donne in età fertile” che potrebbero essere esposti per tutta la vita al rischio connesso all’utilizzo di acqua “potabile” contaminata da Pfas. Ora io mi chiedo qual è il modo migliore di tutelare la salute pubblica? Abbassare i limiti, come fanno negli Usa, dopo aver preso visione degli studi più recenti che attestano la pericolosità dei Pfas anche quando presenti in basse quantità, oppure fissare limiti fra i più alti al mondo, e poi addirittura aumentarli fino a 2030 ng/l, come ha fatto in Italia l’Istituto superiore di sanità?

Vincenzo Cordiano 

Presidente della sezione di Vicenza e Referente per il Veneto dell’Associazione Medici per l’Ambiente - Isde Italia onlus

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