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«Prime donne
del calcio
e il ricordo
di Toni Bortoli»

Nel mese scorso un episodio poco edificante ha caratterizzato la cronaca calcistica nazionale. Si è trattato di un penoso battibecco tra due allenatori professionisti scatenato per futili motivi. Mancini, coach dell’Inter e Sarri, trainer del Napoli, hanno dato vita ad uno spettacolo indecoroso. Non ricordo che ai miei tempi gli allenatori si oltraggiassero in questa maniera, anzi c’era tra colleghi reciproco rispetto. Ma ciò che succede negli stadi è forse lo specchio della società degradata nell’anima. Tempi dove sempre meno persone vanno a vedere le partite dal vivo, mentre aumenta la gente che segue lo sport in poltrona. Ma quali insegnamenti traggono gli adolescenti vedendo uomini maturi che si insultano senza la minima vergogna? La memoria torna al passato, quando i nostri campi da gioco, fin da quelli parrocchiali, erano frequentati da buoni maestri. “Uomini del calcio” direbbe il dottor Guido Savio: «Persone che avevano in mente prima di tutto il nostro bene di ragazzini, di giovani e anche di uomini fatti. Si servivano del calcio perché quello conoscevano come strumento per fare del bene». Mi piace ricordare Toni Bortoli, uno sportivo che ha vissuto la sua “missione” tra il quartiere Conca e Ca’Pajella di Thiene: una figura carismatica non solo per i ragazzi della Robur e dell’Audace, ma anche per le squadre avversarie cittadine. Il suo negozio di barbiere in via Trieste, di fianco all’entrata dello “Stallo Maccà” vicino al “Sole Vecio”, è stato per lunghi anni luogo di ritrovo di giocatori, allenatori, dirigenti e semplici appassionati: un “santuario” del mondo sportivo locale. Anch’io, sebbene fossi un giocatore di una squadra avversaria, avevo di lui totale stima. Grande conoscitore dell’anima dei giovani, Toni Bortoli sapeva infondere nei ragazzi fiducia in se stessi. Quando traslocò in Ca’Pajella per seguire l’Audace, io avevo subito un grave infortunio di gioco con la Prima squadra della Robur. Vedendomi afflitto, Toni mi propose, spronandomi all’ottimismo, di allenare i giovanissimi dell’Audace nel periodo di convalescenza. Fu lì che capii che la stima tra noi era reciproca: non voleva che deprimendomi attaccassi le scarpe al chiodo. Alla cena di fine campionato mi fece dono di una targa di riconoscimento che conservo con piacere. Ecco perché quando vedo qualche foto sui giornali del grande allenatore da Trieste Nereo Rocco, “Paròn” del Milan di Rivera, il mio pensiero corre alla bottega di barbiere e alla figura di Toni, seduto in panchina col suo inseparabile cappello in testa. Ed è con deferenza che oggi riconosco in lui uno dei grandi “Uomini del calcio” di Serie A della nostra meglio gioventù.

Giuseppe(Joe)Bonato

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