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«Il profugo
ucciso
e le armi»

La morte del profugo africano, ucciso a Rosarno di Calabria da un carabiniere in servizio all’interno della tendopoli che da rifugio ai numerosi rifugiati sta suscitando, nell’opinione pubblica e sulla stampa reazioni contrastanti che a mio parere trovano tutte valide motivazioni.

Se è infatti accettabile la tesi che il militare abbia agito per difendere la propria vita è altrettanto inconfutabile che quest’ultimo, valutate le circostanze di tempo e luogo preesistenti all’evento, non doveva essere messo nelle condizioni di dover ricorrere all’uso di un’arma da fuoco per fronteggiare l'aggressore. Esaminando il susseguirsi dei fatti apprendiamo che esiste da tempo, in quel campo profughi, una situazione di permanente disordine principalmente dovuta alle condizioni di vita subumane cui gli ospiti sono costretti. Si tratta infatti di un agglomerato fatiscente ove trovano precario rifugio circa mille individui, abbandonati a se stessi e potenzialmente in grado quindi, di costituire un grosso pericolo per l’ordine pubblico.

L’episodio in cui ha trovato la morte il rifugiato rappresenta pertanto solo un piccolo esempio di quanto potrebbe accadere in futuro. E quando uso l’espressione “abbandonati a se stessi” mi riferisco alla totale inerzia dello Stato che sembra ignorare la gravità del fenomeno e si limita a far presidiare un obiettivo di tale pericolosità, con esiguo numero di operatori. Nella circostanza in esame si parla infatti di sette operatori di Polizia e Carabinieri che, con la loro sola presenza, avrebbero dovuto garantire l’ordine e la sicurezza di tutti; come se si trattasse di vigilare su una sagra paesana. È bastato il comportamento, appena sopra le righe, di un ospite, affetto da turbe psichiche, peraltro già precedentemente manifestate, per far scattare la tragedia col morto.

E ribadisco la parola tragedia perché, con tutto il rispetto per il carabiniere costretto a sparare, io sono del parere che anche il profugo, sia pur nella sua conclamata nullità, fosse portatore di qualche diritto, che la nostra Costituzione garantisce a tutti, e non meritasse di morire in quel modo. Ed è bene che si sappia che da tempo esistono mezzi alternativi all’uso armi da fuoco; congegni che già sono in dotazione alle Polizie di vari Paesi, Italia ovviamente esclusa. Trattasi dei “Taser”, strumenti che emettono una scarica elettrica di bassa intensità, assolutamente non letale ma comunque sufficiente a bloccare e neutralizzare qualsiasi male intenzionato. A Rosarno, se il carabiniere ne fosse stato dotato oggi quel poveraccio sarebbe ancora vivo!

Gianluigi Marconi

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