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We Are Lane

La squadra fragile e la squadra semplice. Il Lane e la fame che non c’è più

L'analisi post Vicenza-Novara
Vicenza-Novara, a fine gara i biancorossi contestati dalla Curva (Foto STUDIOSTELLA)
Vicenza-Novara, a fine gara i biancorossi contestati dalla Curva (Foto STUDIOSTELLA)
Vicenza-Novara, a fine gara i biancorossi contestati dalla Curva (Foto STUDIOSTELLA)
Vicenza-Novara, a fine gara i biancorossi contestati dalla Curva (Foto STUDIOSTELLA)

E adesso siamo qui a parlare di psicologia, come se nel lessico calcistico conquistassero spazio argomenti che prima d’ora erano temi lasciati alle cliniche mediche. Motivazione, autostima, crisi di personalità, paura di sbagliare etc etc. La mente prima di un rettangolo verde, l’equilibrio psico fisico prima di un pallone da calciare.

Se è vero che da anni gli studi sullo sport si sono concentrati sulla mente dell’atleta e sull’approccio all’ostacolo-prestazione sportiva, vero anche che solo il fattore mentale non può giustificare interamente le vittorie o le pesanti sconfitte.

Quando il direttore generale Rinaldo Sagramola, nel post partita di Vicenza-Novara, parla di «mancanza di personalità da parte della squadra» oppure spiega che «non siamo più gli stessi», indica una squadra che ha perso la rotta, come se una barca in mare aperto venisse spostata da un’onda perché troppo fragile per affrontare il mare grosso. E il Vicenza del 2023 è proprio così, una barca fragile che davanti alle tempeste non sa come ruotare il timone e che rotta prendere. Ma c’è di peggio dell’essere fragili mentalmente: non ammetterlo e abbassare la testa quando prendi un ceffone (vedi la reazione dopo i gol subiti da Lecco, Juve NG e Novara).

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La questione però è anche generazionale. Mercoledì sera quando ero davanti all’uscita della curva sud con gli ultrà che attendevano di confrontarsi con i giocatori, un tifoso mi ha ricordato cos’era la serie C di Montani, Pasciullo, Mazzeni e Mascheroni. Erano botte, cattiveria e personalità in campo. Se non eri così morivi, non c’erano mediazioni. Ora non è che voglio fare il discorso del vecchio zio… “quando ai miei tempi”, ma in quegli anni in cui ero bambino e iniziavo a frequentare il Menti, avevi la sensazione di avere come idoli della domenica degli uomini, prima ancora che giocatori. In 40 anni il mondo del calcio ha prodotto invece figurine o peggio, giovani arricchiti e un po’ viziati. Colpa loro? Forse sì, sicuramente questi ragazzi sono figli di quest’epoca in cui negli spogliati si passa più tempo sui social che a guardare in faccia un compagno e possiamo farci poco, ma reagire si può. Un allenatore americano di basket come Larry Brown che allenò i Nuggets Denver dal 74’ al 79’, ricordò in un’intervista che nell’ultima stagione la sua squadra non stava rendendo per nulla, sconfitte dopo sconfitte, rivalità interne, giocatori demotivati e altro. E lui cosa fece ad un certo punto? Disse: «Ragazzi oggi vi chiudo nello spogliatoio un’ora e buttate fuori tutto quello che pensate, vi dovete affrontare muso a muso, prendetevi a pugni se serve». Chiuse la porta e se ne andò. Dentro lo spogliatoio successe di tutto, la terapia di gruppo era servita però, tutte le scorie fuoriuscirono dal corpo e dalla mente. La squadra non vinse il campionato ma arrivò in alto, di certo coach Brown ritrovò una squadra.

Il Vicenza di oggi ha bisogno di uomini e non è una questione di età e accanto a questo dal punto di vista tecnico ha bisogno di semplicità. Quattro concetti e via, perché ai gruppi fragili devi spiegare poche cose. Lo stesso Brocchi e Baldini poi incapparono su questo ostacolo, gruppo fragile, grandi aspettative… delusione sportiva.

C’è una squadra che invece incarna l’approccio giusto alle partite e lo si vede dal campionato che sta facendo. È l’Arzignano calcio che contro il Trento ha trovato il sesto risultato utile di fila e in classifica veleggia a 35 punti, a 6 dal Lane. Il presidente Lino Chilese e l’allenatore Giuseppe Bianchini hanno portato un’idea di fondo fin dal ritiro di luglio: «Voglio una squadra operaia, correre e lavorare». Si dirà che fare calcio ad Arzignano è più facile che a Vicenza, sì e no, nel senso che anche in casa gialloceleste ci sono obiettivi, bilanci e gestione della squadra, senza contare che molti giocatori si giocano la carriera. Esattamente come a Vicenza. Ma la differenza è il criterio della scelta dei giocatori, il mercato gialloceleste ha misurato le doti tecniche e umane del giocatore che veniva ad indossare la casacca dell’Arzignano. Perché la forza di un singolo giocatore sta tutta nell’equilibrio.

E allora forse la cura alla depressione biancorossa, della sua fragilità mentale sta solo nella semplicità. Quattro concetti e via a correre. Per il calcio dei sogni c’è la play station.

Eugenio Marzotto
eugenio.marzotto@ilgiornaledivicenza.it

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