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We Are Lane

La grande illusione e la nebbia sulla strada del Lane

Il Vicenza non è come ce lo siamo raccontati o ce l'hanno raccontato.

Dicevamo un po' tutti che questa squadra se la sarebbe giocata per andare in serie B, che alla fine sarebbe stata una battaglia all'ultimo sangue con Padova e Triestina. Questa volta, tutto era stato fatto per bene, l'arrivo di un mister esperto e vincente, una società capace ancora di investire tanto sulla rosa, l'acquisto di difensori forti capaci di risolvere il problema dei tanti gol subiti l'anno scorso. E poi dai, Diana ha voluto quei giocatori (o con determinate caratteristiche) ed è stato accontentato. Insomma, c'era tutto per essere protagonisti o almeno c'era tutto per non scendere a quota -15 punti. Ma il Vicenza non è come ce lo siamo raccontati o ce l'hanno raccontato.

C'eravamo illusi che aggiungendo qualche giocatore forte e di categoria per reparto, ad un blocco di qualità dell'anno scorso, sarebbe bastato dopo un’organizzazione razionale del tutto. Il resto ce l'avrebbero messo il mister e l'entusiasmo dei tifosi. È stata la Grande Illusione, immaginare di avere una squadra forte, rinforzata, capace non dico di dominare, ma di convincere. È andato - ancora una volta - tutto in fumo. Certo, la stagione è ancora lunga, c'è un girone di ritorno da vivere, una zona playoff da conquistare per tentare di fare il salto da un punto più lontano della vetta. Ma quello che sorprende è la differenza che c'è tra la percezione e la realtà, una distanza che l'Illusione ha colmato provocando delusione e peggio ancora rassegnazione. Se siamo a questo punto significa che la squadra non è mai stata forte, o forse non è mai stata squadra. Perché se è vero che presi singolarmente tutti (o quasi) i giocatori della rosa sono di prima fascia, è altrettanto vero che l'insieme stona come un'orchestra alla sagra paesana e chi doveva amalgamare un gruppo non c'è riuscito. Punto.

Non è la macumba a colpire il Vicenza. C'è voluta una chiacchierata con il mio amico Andrea, tifoso del Lane, l'Inter e la cucina messicana, per schiarirmi le idee su che cosa davvero accade al Lane e non da oggi. Perché se siamo ancora qui a commentare per l'ennesima volta una stagione gettata alle ortiche a novembre, forse le responsabilità non sono tecniche ma ambientali: le tre componenti, società, squadra e tifosi stanno percorrendo la stessa strada, ma non sono unite. Come se nessuno dei tre soggetti si identificasse con l'altro. Stesso obiettivo, senza camminare fianco a fianco.

Il pubblico del Menti almeno da due stagioni, è sempre più giudice che spettatore-tifoso, è arrivato al limite dell'esasperazione che al minimo errore in campo fa salire un brusìo che frenerebbe anche la corsa di un purosangue. E così lo stadio di casa diventa ostile come l'hotel di Shining, quando magari ai giocatori-uomini servirebbe il vento del tifo per fare una corsa in più. E così l'unione tra pubblico e giocatori si è spento, neppure il goleador dell'anno scorso, il capocannoniere, l'istrionico Loco Ferrari si è mai guadagnato un coro nonostante avesse tenuto su la baracca con i suoi gol. Venire al Menti ormai non è più una festa, a prescindere dai risultati.

La squadra si è spenta oggi come negli altri anni al primo soffio di crisi. Tra aspettative mancate, primi mormorii, mancanza di personalità, malumori da spogliatoio, i ragazzi di Diana si sono scoperti nudi davanti agli eventi, incapaci di far vedere che hanno qualcosa in più di Fiorenzuola, Legnago e Novara, ad esempio. Una resa mentale che sa molto di adolescenza sportiva, nonostante i vari Costa, Golemic, Laezza, Rossi o Massolo in questo gruppo abbiano alzato la voce per uscire dal tunnel.

Ed ecco che la parola distanza, è forse il termine chiave che spiega la crisi di questi anni. Si spera che qualche allenamento al Menti a porte aperte o qualche amichevole in settimana, serva a mettere a posto le cose, ma il timore è che sia troppo tardi. Da tempo ormai la società non si rispecchia sulla città, e la città non si rispecchia sulla squadra, la squadra sa poco o nulla della città. È prima di tutto questa la partita da vincere, nessun direttore o allenatore potrà raddrizzare le cose, se prima questa lontananza non verrà ridotta.

Il povero Aimo Diana che sa di aver fallito il suo obiettivo, rimane in panchina senza ragione sociale (la promozione) e tanti dubbi attorni a lui: la squadra lo segue? E come sempre accade nei momenti di crisi, deve fare i conti con le voci del suo esonero e perfino del suo successore: qui la questione non è più se e come arriveremo ai playoff o se a gennaio si siederà in panchina Luca Rigoni, Silvio Baldini o Delio Rossi o altri ancora, ma se il Vicenza (tutto) ha ancora un progetto, un piano che permetta di andare ancora al Menti, che ci sia la possibilità di tifare e di sognare.

Eugenio Marzotto
eugenio.marzotto@ilgiornaledivicenza.it

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