<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
We are Lane

L'ultimo dei romantici ha la maglia con il numero 10

Nel tunnel che conduce i giocatori dallo spogliatoio al prato del Menti, da alcuni anni grandi poster fermano il tempo sui giocatori simbolo dal Vicenza. Da Menti a Vinicio, da Rossi a Schwoch passando per gli eroi della coppa Italia. Ebbene, ci sarà il tempo per fare posto a Stefano Jack Giacomelli su quel muro. L’ultimo dei romantici di un calcio frenetico e cinico si è guadagnato il titolo di bandiera sul campo, una bandiera grande, grandissima come le difficoltà che questo giocatore ha dovuto affrontare in una società segnata dal declino prima che arrivasse l’era Rosso.

Sì, perché un conto è diventare una bandiera che alza trofei, spaccarsi caviglie e allenarsi ogni santo giorno per una promozione, una coppa, per l’alta classifica, un conto è farsi il mazzo nella precarietà, nelle retrocessioni, nei fallimenti. Ma poi esserci sempre, dando quello che sei. Io come migliaia di tifosi ho sacramentato tante volte allo stadio per i suoi dribbling mal riusciti, per quel tiro a giro da sinistra a destra che trovava la porta una volta su dieci, ma ho visto poche volte giocatori in grado di saltare l’uomo, inventarsi una giocata, sudare e baruffare per la R cucita sul petto come ha fatto lui in questi anni.

L’ultimo dei romantici, questo è Giacomelli, un raro esempio di giocatore che sposa una maglia, una società, una provincia, una comunità, rimettendoci e mettendosi in gioco. Con 254 presenze, 52 gol e 9 stagioni biancorosse, Giacomelli ha dimostrato tante cose. Prima di tutto di voler restarci in questa società anche quando andava tutto a rotoli. Jack è un calciatore professionista, quindi un lavoratore, un dipendente che ha avuto presidenti dalle promesse facili, alcuni improvvisati, altri diventati presidenti per un mese o una settimana, eppure lui ha chiesto sempre di restare e non solo per i contratti che lo legavano al Vicenza, la sua scelta andava ben oltre all’ingaggio. “Vicenza è casa mia“ ha più volte dichiarato e lo è per davvero, anche quando nell’estate scorsa i vertici della società non erano più così convinti che potesse far parte del progetto.

Ha accettato una decurtazione dello stipendio pur di rimanere e sta ripagando allenatore, società e tifosi di quella fiducia che oggi appare inalterata. In questi 9 anni Giacomelli è diventato una bandiera di diritto, chiedetelo ad ogni ragazzino tifoso del Vicenza, tutti vorrebbero la sua maglia. Il nuovo ruolo in campo, il trequartista poi – non è che l’ultimo atto d’amore di Jack -. Ha accettato (dopo vari tentativi) di spostarsi dalla fascia sinistra per accentrarsi e appunto giocare da trequartista. Aveva paura di snaturarsi Giacomelli, temeva che lasciare un luogo così confortevole (la corsia sinistra appunto) snaturasse il suo gioco e il suo ego, ma poi ha capito che a 30 anni in questo calcio, si deve e si può cambiare come fanno tutti i lavoratori del mondo. Si chiama flessibilità. Sono arrivati così i due gol nelle ultime tre giornate, roba forte, di qualità, quattro punti da incorniciare, come un poster da appendere sul muro del tunnel che porta al prato del Menti.

Nell’oceano dei social, ogni tanto si pesca bene. Ed è per questo che ho deciso di inserire in questo blog, un post del 19 luglio 2020 pubblicato su Facebook da Osvaldo Casanova, in arte Oz, racconta di Jack dopo l’annuncio del rinnovo di contratto arrivato dopo mesi di trattative. Penna raffinata quella di Casanova, così come i disegni e illustrazioni conosciute in mezzo mondo che raccontano di calcio, il calcio romantico che piace a noi. Ringrazio Osvaldo per aver acconsentito alla pubblicazione dei suoi pensieri che oggi come ieri sono attualissimi.

eugenio.marzotto@ilgiornaledivicenza.it

 

ATTENZIONE, POST MOLTO LUNGO 
PICCOLA ODE AI PIEDI BUONI
(Perché con quelli si fa il calcio)

Stefano Giacomelli ha rinnovato e io ne sono felice: questo per mettere subito in chiaro.

Jack è un caso anomalo.

Ha dimostrato di voler restare a tutti i costi ma quello che in tutto il mondo è lodato come attaccamento alla maglia (dopo 8 anni non è una bandiera solo per cavilli burocratici) a Vicenza viene declassato in “no lo vole nisun” ed è una cosa difficile da capire.

Come è da capire che certa gente che ha sopportato pippe indescrivibili, che ha visto El Hasni e Serafini titolari fissi, che ha affidato le sue speranze di gol a Nicola Pozzi, a Ferrari e Baclet abbia così in odio l’unico giocatore degli ultimi 10 anni prima di quest’anno, capace di stoppare una palla in maniera decente (e decente è ovviamente un eufemismo). Un ragazzo che ha dimostrato la voglia di migliorare anno dopo anno, imparando a difendere con Marino, a sacrificarsi, a giocare per la squadra viene etichettato come egoista. Un giocatore che è sempre sceso in campo anche quando l’ambiente gli era estremamente ostile (a lui, a sua mamma e a tutta la sua stirpe), anche quando altri suoi compagni, freschi di retrocessione, erano già in macchina verso altri lidi o sono rimasti in panchina lasciando dei ragazzini sotto una curva infuocata, è giudicato menefreghista e superficiale. Non è costante, dicono, ma secondo voi se con tutta quella tecnica fosse pure costante, giocherebbe tra B e C? Non è un capitano, dicono: può essere. Ma lo è stato Minieri e non ricordo tutto questo odio. “Protesta continuamente, litiga con gli avversari”: vero, ma se poi lo fanno altri è grinta. È poi talmente poco decisvo (altra accusa che gli viene mossa) che i gol, all’andata e al ritorno, che ci hanno salvato dalla serie D portano entrambi la sua firma. E lasciamo perdere i tiri a giro, gli stop al volo, il gol col Monza, il capolavoro con la Samb. C’è talmente tanto pregiudizio su di lui che nell’anno in cui fa 12 gol e 9 assist viene accusato di essere calato nella seconda parte del campionato: Sgrigna lo ha fatto ogni anno in biancorosso e veniva trattato come Platini. Tutto questo perché? Per aver sbagliato un gol e non servendo un onesto mediano meglio posizionato di lui in un derby a Verona. Da lì è tutto diventato colpa sua, la sconfitta poi maturata, la retrocessione, le mancate promozioni. Beh, signori (detto non a caso): a parer mio, un attaccante che tira in porta non sbaglia mai. Tra l’altro sono convinto che se l’avesse passata lo avreste accusato di scarso coraggio.

Per tutti questi motivi è assurda la cattiveria nei tuoi confronti e per tutti questi motivi io sono felice. Sono felice di pagare l’abbonamento e continuare a vederti giocare, tu che a volte sembri Calimero coi piedi di Messi, altro che arroganza. Continua a testa alta, Jack (magari rasata ma questo è un altro discorso), che una tua serpentina vale più dei loro mille giudizi che di fronte all’evidenza e alla logica si riducono a “ma a mi el me sta sul cazzo”.

Ad maiora!

Suggerimenti