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We Are Lane

Il Vicenza ce la fa? Chiedetelo a Calcutta

“Ma allora il Vicenza ce la fa?”, nell’ultimo mese me l’avrà chiesto almeno una persona al giorno, in ogni luogo e in ogni ora. Il problema non è la domanda o chi era il mio interlocutore, ma la risposta. Soprattutto se ti trovi a 700 metri sul livello del mare, dentro un ristorante seduto al tavolo con altri otto genitori. Quelli del calcio, quelli che insieme a te vivono una stagione appassionante o disarmante dei propri figli impegnati ogni maledetta domenica a correre, combattere e vincere e tu sei tribunetta come fosse una trincea. Quelli che alla terza bottiglia di Durello, anticipata da quattro caraffe di Cabernet ti chiedono con l’occhiolino caduco se ci beviamo l’ultimo e tu non puoi dirgli di no, perché è Natale e perché per un senso gastro-calcistico e orgoglio di tifoso Alfa, accetti la sfida anche se sei stremato.

Ebbene, succede che alla fine di questa cena a base di alzavole (ecco l’ho scritto e adesso tutti gli amici vegetariani mi toglieranno il saluto), il titolare, un ragazzo biondo che dice di essere amico di Roby Baggio, ci offre uno stupendo Champagne e quando passa accanto a me per versarmi il vino, mi riconosce e mi chiede: “E lora el Vicensa ghela falo?”. Io francamente ero impegnato a leggere con una certa fatica l’etichetta della preziosa bottiglia, ma mosso da una responsabilità di quello investito nella parte del Totem biancorosso o peggio, del visionario che pensa di conoscere la verità, l’ho guardato con imbarazzo e gli ho risposto con voce profonda: "Speriamo", una risposta insulsa… lo so. Perché lo capivi che quel ragazzo biondo cercava da me delle risposte definitive ma io che mi ero seduto al tavolo senza sapere nemmeno cos’erano le alzavole, come potevo verso l’una di notte e un’ebbrezza – quella sì definitiva – rispondere ad una domanda che sembra facile ma che in realtà necessita di una certa complessità d’analisi? Forse perché mi ha visto un po’ di volte a Tva Vicenza e mi ha letto in qualche articolo su Il GdV, si aspettava una dissertazione sul gioco di Brocchi, il mercato di Balzaretti e chissà cosa… e invece l’ho deluso. Mi sono poi chiesto… Sarà stato perché lo Champagne offerto arrivava dopo una grappa barricata sempre per quel meccanismo tutto maschile che si esprime soprattutto alle cene con i genitori del calcio che un certo machismo (peraltro antistorico) si manifesta solo con l’alterazione dei cinque sensi?

“Speriamo”, gli ho risposto e poi mi sono vergognato e mi è venuto in mente quello che mi diceva il mio allenatore quando giocavo 35 anni fa con gli Allievi delle Alte: “Chi vive sperando, muore…”. Facevo molta panchina all’epoca…

Ci siamo salutati con lui che mi guardava con una certa misericordia, e sono salito in macchina del genitore Luca che non ringrazierò mai abbastanza per avermi trasportato, in totale sicurezza, in pianura prima di farmi bere un altro ultimo, un mezzo e mezzo nella centralissima Brogliano che brulicava di nulla alle ore 1,30 di un venerdì che sembrava non finire mai.

Carico a bomba ho affrontato le strade che attraversano la Valle dell’Agno e l’Ovest vicentino ascoltando alla radio Calcutta, cantavo da solo e pensavo. Finché non è partita la canzone che inizia con “Pesaro è una donna intelligente” e a me è venuta in mente di getto la Vis Pesaro e quegli stadi di serie C figli del calcio di periferia, quelli che per puro caso hanno vissuto fasti calcistici, brevi ma intensi. E poi via, lungo la 246 a riflettere su quel “Speriamo“, perché dai… non ci resta che la speranza per resistere al cinismo dei numeri che cozzano con la schizofrenia del momento. Rifletti, ti guardi indietro, riavvii il nastro della memoria e non ci capisci niente su quello che è successo e sta accadendo a questo Vicenza che più di un mental coach avrebbe bisogno di un esorcista. A proposito, a Monte Berico ce n’è uno bravo.

E allora mentre guidavo con Calcutta che cita Bologna, De Gregori, il Bar Fanfulla e amori incompresi, io continuo a cantare, pensando contemporaneamente a quando ci avevano detto che bastavano cinque innesti di qualità ed esperienza per rinforzare una squadra che la stagione prima aveva raggiunto la salvezza con facilità, e ti arrivano Crecco, Brosco e Calderoni. Ma poi dentro di te pensi che è arrivato anche uno dei migliori bomber della B e la miglior mezzala dei cadetti, poi però vedi in campo Diaw e Proia e pensi che è tutto un bluff anche se non può essere vero. Allora perdi cinque gare di fila e può essere vero. E allora via Di Carlo, dentro Brocchi, dopo che con mister Venturato non è scoccata la scintilla. Vinci contro il Pordenone – ma niente – è solo un fuoco di paglia. Nel frattempo con il nuovo allenatore perdiamo nove partite (9) e mistero della fede (calcistica) è l’unico mister che più perde, più tiene salda la panchina. Arriva il sostegno della società, dei direttori del Lane e del patron che parla di “buon team“. E’ notte fonda, guido con scioltezza, affronto la rotatoria del Mc ad Alte, grandi ciminiere luminose mi sembrano moderni obelischi alieni e penso all’equazione “giocare bene e perdere“, che poi è quello che sta succedendo a questo Vicenza, ma anche qui non c’è risposta e metti insieme le cose: nuovo allenatore+9 sconfitte+bel gioco+buon team:7 punti. Non ci capisco niente. Per fortuna c’è Balzaretti, il diesse sempre positivo che mi dice in un’intervista che potrebbe arrivare Lukaku (il fratello, ovvio) e che faranno di tutto per tenere Ranocchia che però non è tuo e che vuole mezza serie A. E allora davanti alla soglia di casa quando sono all’incirca le 2 mi accendo l’ultima sigaretta prima di andare a dormire e penso che in fondo quel “Speriamo” è l’unica risposta che ha senso dentro un NON senso e che se proprio va male, Pesaro è sì una donna intelligente ma anche una cittadina graziosa. Magari la becchiamo nel nostro prossimo girone. Opss l’ho detto.

Eugenio Marzotto
eugenio.marzotto@ilgiornaledivicenza.it

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