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We are Lane

Il Lane e lo spettacolo incompiuto

Venite avanti voi del bel gioco, quelli che lo spettacolo in campo vale il prezzo del biglietto o un abbonamento a Dazn. Voi che «vincere non è tutto», voi che la qualità alla fine paga. Il problema è quanto paga e soprattutto quanto le società di calcio sono disposte ad investire, strette dal dubbio filosofico se è meglio divertire o vincere, perché avere tutte e due le cose spesso è complicato a meno che non ti chiami Manchester City e hai un presidente nababbo che in tre anni spende 2 miliardi di euro investendo su squadra, brand commerciale e centro sportivo.

Se poi guardi dentro alle cose del LR Vicenza e analizzi non solo le parole ma anche il linguaggio degli sguardi, capisci che in casa Rosso il tema è molto sentito. Ma lo è all’Inter, alla Juve, al Milan, al Venezia, Empoli, Monza o Chievo. L’unica società che sfugge a questo tipo di rebus è la Salernitana della coppia Lotito-Castori, granitici nell’idea che bisogna vincere e basta. Del resto l’idea di calcio del tecnico marchigiano era già chiara ai tempi del Carpi dei miracoli, seconde palle, gioco sulle fasce e lanci lunghi.

Per Renzo e Stefano Rosso non è così. Loro come altri presidenti di A e B vogliono vincere divertendo, consapevoli che lo stadio (quando aprirà al pubblico) diventerà una sorta di teatro dello sport piuttosto che un’arena per gladiatori. Tante volte, soprattutto nel post gara, RR e SR hanno posto la questione del gioco, della qualità dei giocatori e degli errori commessi. Perché l’idea è che il calcio sia divertimento e il Vicenza un marchio da esportare, per logiche commerciali ma non solo. Il progetto, per ora solo nella testa della proprietà, è che il Menti diventi il luogo dove passare un pomeriggio o una giornata come quando si va al Luna Park. Per divertirsi.

Bene, ma la realtà poi ti porta a schiantarti con la concretezza, quella del made in Castori per intenderci. All’inizio dell’avventura di Giuseppe Magalini, feci una lunga chiacchierata-intervista con il direttore sportivo chiedendogli se stava con il risultatista Allegri o con il giochista Sarri. Erano gli anni delle contrapposizioni quasi ideologiche e il Mago mi rispose secco: «Sto con Allegri tutta la vita, quello che conta alla fine è vincere». E aveva ragione, perché se non fosse così non saremmo qui a festeggiare una salvezza in serie B e la possibilità di sognare ancora tra i cadetti.

Ma la domanda a fine campionato forse è un’altra. Di Carlo ha potuto esprimere il suo calcio? C’erano le condizioni per lo spettacolo? Il mantra corsa-lotta-mentalità è stato sufficiente?

La questione tecnica non è banale. Di Carlo è forse uno dei migliori allenatori in circolazione che prepara la sfida sugli avversari e non a caso le migliori partite il Lane le ha giocate con squadre che menano le danze come Empoli, Spal, Lecce e Chievo. Ma per fare di più, per avere di più c’era bisogno di una rosa all’altezza, servivano giocatori dal tasso tecnico maggiore e soprattutto con una velocità di pensiero-giocata che in questa squadra manca, fatta eccezione per pochi (Meggiorini, Rigoni, Dalmonte e Nalini) ma quanti di questi si sono salvati da infortuni e lunghi stop? Di Carlo il kloppiano, quello del gioco verticale, delle ripartenze veloci aveva a disposizione gli uomini giusti solo sulla carta. La scorsa campagna acquisti in fondo era basata su quel tipo di gioco che sa essere spettacolare. I vari Dalmonte, Nalini, Vandeputte, Giacomelli, Meggiorini. Jallow o un Beruatto-Ierardi che puntano la fascia, quante volte hanno giocato assieme? Mai. Covid ed infermeria hanno sempre dettato la formazione.

E a soffrire più di tutti è stato Di Carlo, il tecnico che ha l’enorme responsabilità di fare bene nella sua piazza, fatta di gente che ti trova per strada o al bar che gli dice: «O Mimmo, abbiamo fatto schifo con il Brescia». Poi vagli a spiegare ai tifosi che nelle ultime quattro gare i giocatori preferivano un passaggio comodo in orizzontale piuttosto che il rischio di una giocata, di un assist rasoterra per quelli veloci là davanti. Che preferivano la zona comoda del campo, piuttosto che il furore della battaglia. Ci sarà da lavorare tanto questa estate per rinnovare la squadra, mentalità, qualità e spettacolo hanno un prezzo alto, ma non c’è altra via d’uscita se alla domenica (o al sabato) vuoi andare al Luna Park.

eugenio.marzotto@ilgiornaledivicenza.it

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