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La spunta blu

Una cosa fuori dal tempo: lo scrutinio segreto

Una scena del film "Il Divo"
Una scena del film "Il Divo"
Una scena del film "Il Divo"
Una scena del film "Il Divo"

"Chi non vuol far sapere una cosa, in fondo non deve confessarla neanche a se stesso, perché non bisogna mai lasciare tracce" (Toni Servillo nel film "Il Divo")

Ha ancora una giustificazione la regola del voto segreto nell’Italia del 2021? In un’epoca trasformata dai social media in una grande fiera delle vanità, in cui dei politici conosciamo ogni dettaglio della vita privata, dalla passione per la polenta taragna alle vacanze in Salento, ha ancora senso non conoscere il loro voto su temi cruciali come i diritti e le libertà? Mentre nel teatrino della politica si scatenava la caccia al franco tiratore dopo l’affossamento del Ddl Zan al Senato, nel paese reale cresceva lo smarrimento per uno strumento anacronistico che sembra aumentare, anziché accorciare, la distanza tra eletti ed elettori, e la diffidenza per non dire sfiducia verso le istituzioni. Un giovane Aldo Moro, già ai tempi dell’assemblea costituente, sosteneva che lo scrutinio segreto «tende a sottrarre i deputati alla necessaria assunzione di responsabilità di fronte al corpo elettorale per quanto hanno sostenuto e deciso nell’esercizio del loro mandato». Fino alla fine degli anni Ottanta era la regola in parlamento, poi una riforma ne limitò l’impiego perché era considerato concausa dell’instabilità politica, poiché lasciava nelle mani dei malpancisti di ogni partito un formidabile potere di disobbedire agli ordini di scuderia e di trasformare una maggioranza in minoranza e le minoranze in maggioranza. Oggi lo scrutinio segreto è ammesso quando le Camere sono chiamate a votare su organi dello Stato, come il presidente della Repubblica, e su materie che intersecano la libertà di coscienza dei singoli parlamentari. Tradotto: quando la politica decide su se stessa e sui diritti e le libertà delle persone, entrando spesso nei luoghi più intimi dell’anima e del corpo degli italiani. Si può essere favorevoli e si può essere contrari a un disegno di legge come quello contro la transomofobia, un testo tutt’altro che perfetto e sul quale si sono consumati strabilianti errori tattici e strategici, ma è il modo in cui è stato strangolato che ancor offende. Il voto su un tema così delicato e rovente è diventato una corrida sotterranea per indirizzare messaggi da un partito all’altro e da una corrente all’altra, che nulla avevano a che fare con il testo in esame. I principi e i valori si sono eclissati sullo sfondo delle dichiarazioni formali (palesi), lasciando la sostanza dell’esito finale all’inviolabilità dello scrutinio (segreto), riserva di caccia dei franchi tiratori, non esattamente un titolo di cui andar fieri al punto da farlo inserire nel curriculum vitae o incidere su una lapide. Non è la prima volta, ovvio, e, a giudicare dalle priorità fin qui enunciate, non sarà l’ultima: fra tre mesi verrà celebrata la solenne liturgia dell’elezione del capo dello stato, il poligono di tiro ideale per chi attende un cono d’ombra da cui esercitare la poco nobile arte del franco tiratore. Ciclicamente torna nei salotti dei talk show e nei programmi elettorali la tentazione di imporre il vincolo di mandato: ma quello sì sarebbe un agguato a una colonna portante dell’edificio di ogni democrazia liberale e rappresentativa. Lo scrutinio segreto, al contrario, è uno strumento dal suono antico, superato, ormai fuori dal tempo, ostinatamente contrario ai tentativi di avvicinare il Palazzo e le piazze, chi la politica la fa e chi la subisce. Dalle assemblee di condominio ai consigli comunali, nessuno ricorre a una pratica che appare come il retaggio di un’Italia che non sapeva fare altro che trasferire nella cosa pubblica i riti della fede privata: dalla “chiama” ai “catafalchi”, tutto ricorda la segretezza della “confessione”. Vale la pena di ricordare che questa legislatura era nata sotto i colpi degli apriscatole, simbolicamente azionati per squarciare il velo di opacità che avvolge le stanze dei bottoni. Spesso ci si interroga sulle cause dell’astensionismo e della disaffezione dell’elettorato: potremmo iniziare con un’ulteriore estensione del voto palese, strumento indispensabile per la tracciabilità dell’azione parlamentare di ogni deputato e senatore, soprattutto su valori e principi che regolano la vita in una comunità e l’intimità di ogni italiana e ogni italiano. Quell’alone di mistero non fa che alimentare veleni e sospetti, teorie del complotto di cui ormai è permeato ogni angolo della nostra società, autorizzando a perpetuare all'infinito l’editto andreottiano: a pensar male si fa peccato, ma quasi sempre ci si indovina.

 

gianmarco.mancassola@ilgiornaledivicenza.it

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