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La spunta blu

Storia di un eccesso di fiducia

Una scena dal film "Storia di un matrimonio"
Una scena dal film "Storia di un matrimonio"
Una scena dal film "Storia di un matrimonio"
Una scena dal film "Storia di un matrimonio"

“Il matrimonio è il trionfo dell’immaginazione sull’intelligenza. Le seconde nozze sono il trionfo della speranza sull'esperienza” (Samuel Johnson)
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 Ma di cosa parliamo quando parliamo di virus e di vaccini? Parliamo solo di medicina e di scienza, o stiamo parlando anche di qualcos’altro, ad esempio di filosofia, di psicologia, di economia, di politica, di democrazia? Dare una risposta a questa domanda ci aiuta a capire perché diavolo ci troviamo in questa situazione: da un lato abbiamo pochi vaccini, dall’altro molti non vogliono vaccinarsi. Non mi interessa qui ascoltare le ragioni dei sì vax e dei no vax, mi interessa la metamorfosi culturale che ha portato un Paese a investire sempre meno nella ricerca scientifica fino a dover dipendere in tutto e per tutto dall’estero: com’è accaduto che i migliori ricercatori italiani siano andati a lavorare nei laboratori americani, inglesi, tedeschi e com’è accaduto che a un certo punto molti italiani abbiamo iniziato a diffidare della medicina? Richard Thaler, premio Nobel per l’economia nel 2017, l’avrebbe spiegata così: eccesso di fiducia. E l’eccesso di fiducia è la spiegazione anche di questo ritorno in fascia arancione, delle nuove chiusure e del rincorrersi di appelli per un nuovo lockdown. Un anno dopo, di nuovo al punto di partenza, come in un gigantesco gioco dell’oca. «Come tutti sanno - scrive Thaler - circa la metà dei matrimoni finisce nella separazione. Eppure al momento della cerimonia, quasi tutte le coppie sono convinte che c’è una probabilità pressoché nulla che il loro matrimonio si concluda con un divorzio... perfino tra coloro che hanno già divorziato». Con la pandemia ci stiamo comportando proprio come chi ha già divorziato una volta, ma decide comunque di ri-sposarsi per poi ri-divorziare. I teorici dell’economia comportamentale come Thaler chiamano questa inclinazione dell’essere umano “ottimismo irrazionale”. Ce ne sono di due tipi. Il primo è positivo e ci spinge a compiere azioni straordinarie, a credere nella possibilità di grandi imprese, a stipulare un mutuo trentennale, a convolare a nozze (almeno metà dei matrimoni resiste felicemente, tutto sommato...), a fondare un’azienda. Il secondo tipo di ottimismo irragionevole è invece negativo: «Sopravvalutando la personale immunità da eventi dannosi - scrive ancora il premio Nobel - molti individui non prendono ragionevoli misure preventive». Usa proprio una parola che abbiamo ascoltato milioni di volte in questo ultimi disgraziato anno: immunità. La storia italiana degli ultimi vent’anni è la storia di un popolo che sopravvaluta la propria immunità da eventi dannosi: la continua rincorsa alle emergenze per l’incapacità di lavorare sulla manutenzione dei ponti e dei viadotti è un esempio è solo un esempio; i tagli ai finanziamenti alla ricerca scientifica sono un altro esempio. Il fortunato slogan di un vecchio spot televisivo diceva che è meglio prevenire che curare. L’ottimismo negativo degli italiani e la loro sensazione di immunità li porta a capovolgere questa legge del buon senso, finendo così per prevenire quasi mai e dover curare quasi sempre. Il paradosso è che l’eccesso di fiducia dilaga più facilmente in Paesi ricchi e sviluppati come l’Italia: è come se il benessere fosse l’enzima che innesca la vertigine dell’immunità. Per questo smettiamo di fidarci dei vaccini o di spegnere sul nascere i ritorni di fiamma di certe derive antidemocratiche. Banalmente escludiamo che possa accadere a noi. Ci sentiamo al sicuro e ci permettiamo comportamenti spericolati, perché questo sono certe scelte: rinunciare alla ricerca o alla manutenzione dei ponti è come andare in moto senza casco o senza freni. L’andamento della curva del contagio sembra pilotata proprio da questa inclinazione all’ottimismo irragionevole. Quando passa la paura da zona rossa, pecchiamo di eccesso di fiducia. Il disorientamento che ha sorpreso molti alla notizia del ritorno del Veneto in zona arancione si spiega proprio con un febbraio “giallo” vissuto come una vacanza spensierata, sull’onda di un ottimismo che non aveva riscontri razionali nei numeri e soprattutto nell’esperienza degli ultimi dodici mesi: parafrasando la citazione del poeta Samuel Johnson che ho appeso all’ingresso di questo post, la speranza che fosse ormai tutto finito ha trionfato sull’esperienza che avrebbe dovuto suggerirci prudenza. E invece. In fondo, siamo italiani anche in questo: quando il semaforo da verde diventa giallo, dovremmo frenare, ma quasi sempre acceleriamo.

Ps: per scrivere questo post non è stato fatto del male ad alcuna coppia sposata, quello del matrimonio e del divorzio era solo l'esempio offerto da Richard Thaler nel suo libro più noto, scritto con Cass Sunstein e intitolato "La spinta gentile" (il sottotitolo è "La nuova strategia per migliorare le nostre decisioni su denaro, salute, felicità", non è una cattiva lettura, tutt'altro) 

gianmarco.mancassola@ilgiornaledivicenza.it

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