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La spunta blu

Non è una Bestia: è un uomo

Una scena dal film "La Bella e la Bestia"
Una scena dal film "La Bella e la Bestia"
Una scena dal film "La Bella e la Bestia"
Una scena dal film "La Bella e la Bestia"

«Ho bisogno di una nemesi, altrimenti mi distruggerò. E di una nemesi non nell'infinito, chissà dove e chissà quando, ma qui, sulla Terra, che la possa vedere anch'io» (Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov)
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Ha un'impronta tragica la parabola di Luca Morisi, aka “La Bestia”, il guru che ha inventato la narrazione social di Matteo Salvini. Tragica nell'accezione greca, un castigo divino per rimettere in equilibrio gli umani eccessi. La legge del contrappasso che lo porta a essere suo malgrado protagonista di una di quelle storie di cronaca nera che per quasi un decennio lui stesso ha bersagliato con la tenace precisione di un cecchino dai pulpiti social, ora ha la potenza di una punizione del destino, una pena circolare quasi che la sua sorte fosse inscritta in un testo di Sofocle. Per anni ha radiografato ogni lancio d’agenzia, ogni titolo su arresti e perquisizioni: sequestri di pochi grammi di droga venivano dati in pasto alla Bestia, nutrendo il lato oscuro di un pubblico assetato di giustizia sommaria, vendette da consumare gettando via le chiave di galere putride e buie. Perché una cosa è invocare giustamente la certezza della pena, tutt'altra è lasciarsi andare all'augurio di veder "marcire in prigione" anche chi ancora non è stato nemmeno rinviato a giudizio. Ora ci si ritrova lui in quei titoli e in quei lanci d’agenzia. La genialità della Bestia muoveva da una precisa conoscenza antropologica del mondo là fuori: poco o tanto, tutti sentiamo il richiamo dell'animale che ci portiamo dentro e che ogni giorno combattiamo per tener nascosto nelle viscere dell'anima. Sapeva come liberarlo, aveva la combinazione per aprire la gabbia e tirar fuori quell'animale titillando gli istinti più bassi. Impermeabile a ogni appello alla pietas per capire e immedesimarsi, la Bestia è passata sopra a debolezze e fragilità umane, troppo umane con la spietata e ruvida indifferenza di uno schiacciasassi. Ora è la Bestia ferita a invocare attenuanti per debolezze e fragilità: e se non siamo diventati tutti bestie a nostra volta, gliele dobbiamo riconoscere, da innocente quale resterà fino a prova contraria. E qui sta l'ingrediente tragico di questa vicenda. Come un piccolo Edipo dei nostri giorni, la Bestia ha scoperto di non aver fatto altro che raccontare di sè in questi anni di furore social: stava picchiando se stessa quando picchiava duro su derelitti e invisibili dei nostri giorni, si rifletteva allo specchio quando pubblicava foto di manette e foto segnaletiche. Questo, ha prima scoperto e poi confessato: di essere un uomo, non una Bestia.
«Ogni persona che incontri - è stato scritto - sta combattendo una battaglia di cui non sai nulla. Sii gentile, sempre». 
Ps: le due Leghe di cui si parla da qualche tempo sui giornali italiani hanno origine sui contenuti di certe battaglia, ma soprattutto sui modi. Alla Lega di Zaia non sono mai appartenuti i toni della Bestia. Ci dobbiamo attendere una conversione anche nello stile salviniano? Da ultimo, annoto di passaggio il destino che sembra attendere spin doctor, ghostwriter, guru della comunicazione e del marketing politico: il salto dal cono d’ombra in cui hanno sublimato il loro genio alla luce dei riflettori, dal dietro le quinte al proscenio, spesso è un volo nel vuoto senza rete, come se accade a chi si sia sempre seduto sul sedile del navigatore e all'improvviso si trovi il volante tra le mani senza sapere quale sia il pedale del freno. 

gianmarco.mancassola@ilgiornaledivicenza.it

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