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La spunta blu

Mondi lontanissimi e correnti gravitazionali: in viaggio con Battiato

Franco Battiato ai tempi dell'album "La voce del padrone"
Franco Battiato ai tempi dell'album "La voce del padrone"
Franco Battiato ai tempi dell'album "La voce del padrone"
Franco Battiato ai tempi dell'album "La voce del padrone"

Nelle chiese abbandonate si preparano rifugi e nuove astronavi per viaggi interstellari. Nel cruscotto della vecchia Punto blu di mia madre avevo trovato solo quella musicassetta (che parola questa, sembra venire dal trapassato remoto, da un’archeologia tecnologica di cui si è persa la memoria): “Franco Battiato, Studio collection”. Quando l’avevo infilata nell’autoradio il nastro era ripartito da questo frammento di “I treni di Tozeur”, una canzone che stava in un disco intitolato “Mondi lontanissimi”. E un mondo lontanissimo mi appariva la destinazione che mi attendeva: la redazione del Giornale di Vicenza, quando ancora era in viale San Lazzaro. E per un istante ritorna la voglia di vivere a un'altra velocità. Era di maggio, un maggio come questo, profumato di pioggia e sole, di gelsomini e lavanda: tra noi si scherzava a raccogliere ortiche, con un cappello e un ombrello di carta di riso e canna di bambù, come una vecchia bretone. L’anno: il 1999. Avevo già la luna e urano nel leone, la barba con il rasoio elettrico non me la facevo più, stavo preparando un esame all’università, pensavo alla tesi, a un dottorato, rimbalzavo tra casa dei miei e lo studentato alle porte di Bologna, quando mi arrivò una telefonata (al telefono fisso, ovviamente, mica ce l’avevo il cellulare): «Il direttore si libera alle 18, lo può incontrare a quell’ora». Come ci si veste per un colloquio di lavoro? C'è chi si mette degli occhiali da sole per avere più carisma e sintomatico mistero. Lavoro, poi: ero davvero sicuro di poterlo chiamare lavoro quella corrispondenza dalla Val Chiampo per la quale mi ero candidato e che avrei iniziato di lì a un paio di giorni? Infilai la giacca da esame, quella blu, come l’inchiostro delle penne stilografiche, e partii nuotando nel traffico delle cinque, quando dalle concerie di Arzignano escono sciami di auto impazzite: uh, com'è difficile restare calmi e indifferenti mentre tutti intorno fanno rumore. Temevo di fare tardi, perso in quell’incantesimo tra il senso del possesso che fu pre-alessandrino, lo shivaismo tantrico e le tue strane inibizioni. Così presi strade laterali, che si smarrivano in una nebulosa di campi di soia e grano acerbo trapuntati di papaveri: vagavo per i campi del Tennessee, come vi ero arrivato, chissà, più veloci di aquile i miei sogni attraversano il mare. L’autoradio macinava il nastro della musicassetta, mentre la Punto blu di mia madre macinava quei venticinque chilometri di correnti gravitazionali, ossessioni, manie, di spazio e di luce, che mi apparivano distanze siderali: dovrei cambiare l'oggetto dei miei desideri, non accontentarmi di piccole gioie quotidiane.
Quando finalmente arrivai, spensi il motore mentre la voce di Battiato si eclissava sulla Prospettiva Nevski: E il mio maestro mi insegnò com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire. Salendo le scale a due a due, con il fiato grosso e le mani sudate, ancora non lo sapevo, ma stavo attraversando la mia porta girevole: dietro c’era un mondo lontanissimo, che sarebbe diventato il mio mondo. A distanza di vent’anni, se mi chiedete di raccontarvi come sono diventato giornalista, la prima cosa che mi viene in mente è quel grappolo di canzoni che mi accompagnò nel mio viaggio interstellare. Geniale inventore di melodie e metriche, scienziato della citazione e della strofa, Battiato è stato il mio compagno di tanti viaggi, ma di quello in particolare. Che poi è questo che dovrebbero fare le canzoni: staccarsi dal pentagramma dove sono state scritte e dal nastro in cui sono state incise per appiccicarsi alla vita di chi ascolta, colorando momenti, cerchiando giorni, settimane, mesi: tatuaggi dell'anima. Ed è quello che dovremmo fare noi con le canzoni che amiamo: tenercele vicine o andarle a prendere dove le abbiamo lasciate. E ti vengo a cercare, perché sto bene con te, perché ho bisogno della tua presenza per capire meglio la mia essenza.

gianmarco.mancassola@ilgiornaledivicenza.it

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