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La spunta blu

Lo Stato "padre" e il popolo "figlio"

Pierre-Auguste Renoir, "Ballo a Bougival"
Pierre-Auguste Renoir, "Ballo a Bougival"
Pierre-Auguste Renoir, "Ballo a Bougival"
Pierre-Auguste Renoir, "Ballo a Bougival"

Il braccio di ferro sul coprifuoco non è che l’ultimo capitolo di un nuovo grande romanzo popolare italiano intitolato “Padre e figlio” dove il padre padrone è lo Stato e il figlio è il popolo fanciullo. Sin dall’inizio della pandemia, dietro ogni decreto e ogni annuncio di premier, ministri, governatori e sindaci, si agitava in filigrana l’irresistibile tentazione di cedere al paternalismo. In principio questo impulso era dettato dalla necessità di raccontare l’apparizione di qualcosa di completamente nuovo come il virus e di giustificare misure che limitavano le libertà in nome della salute. Poi è venuta l’epoca degli anatemi e delle profezie: quel monito ancestrale “se vi fate la ceretta clandestina morirete depilate” suonava come il materno “fate i bravi sennò chiamo la guardia” di quando eravamo bambini. Così, mentre si allentavano le restrizioni, veniva il momento del bastone e della carota: la fascia gialla per premio, la fascia rossa per castigo. Il cerchio di questo nuovo paternalismo nel rapporto tra governanti e governati si chiude ora con il tira-e-molla sul coprifuoco, che ricorda le estenuanti trattative del sabato sera, quando sgattaiolando fuori casa con l’adrenalina della festa già in circolo venivamo raggiunti dalla fatale domanda: “A che ora torni?”. E però quella non era una domanda, ma la lettera di convocazione per un processo alle intenzioni senza prove né indizi, davanti al plotone di esecuzione di mamma e papà, con fratelli e sorelle a origliare dietro la porta: «Dove vai? Con chi? Cosa fate? Cosa bevete? Come ci vai? Chi guida? Quando tornate?». A poco o nulla servivano le nostre rassicuranti risposte angelicate con le mani giunte e l’aureola disegnata intorno alla zazzera. La sentenza, inappellabile, arrivava con il sopracciglio destro inarcato e l’indice puntato in direzione dell’orologio appeso in cucina, chiamato a fare il testimone, il notaio e l’arbitro di questa spericolata partita che era l’adolescenza: «A casa a mezzanotte, non un minuto di più». Dopo 187 giorni di inossidabile coprifuoco inchiodato allo scoccare delle 22, noi Cenerentole dell’era Covid, noi popolo fanciullo, noi italiani eterni adolescenti, forse chissà sembra che siamo riusciti a strappare con le unghie e con i denti un’ora all’inflessibile rigore di questo Stato “padre padrone”. Un’ora d’aria. Un’ora sola ti vorrei. Se davvero il coprifuoco scivolerà dalle 22 alle 23, siamo pronti a scommettere che questa concessione verrà accompagnata dalle raccomandazioni di rito («ma state distanti e non abbracciatevi»), proprio come quando, ormai adulti, ci veniva concesso di sfondare il muro della mezzanotte: «Ma andate piano e non vi drogate». Ci diranno che sarà il nostro esame di maturità, l’ennesimo di questi 15 mesi trascorsi a ballare sul tagadà delle chiusure e delle aperture: fin qui, va detto, siamo stati bocciati o rimandati a tutte le prove, come certificato dall’andamento delle curve del contagio. Così, mentre i telegiornali trasmettono le scene di spagnoli inebriati per il ritorno della movida o di inglesi ebbri al pub eccitati dalle partite della premier league, noi qui ci battiamo per allungare le nostre mezze vite di un’ora, pretendendo la carota, ma temendo il bastone. Già, perché l’altra faccia del paternalismo è il moralismo, un’altra costante della pandemia all’italiana. Il coprifuoco, in fondo, non è che il corollario del teorema enunciato alla fine dell’estate 2020: «Taglieremo tutte le attività non essenziali». E precisamente questo è stata la lunga notte italiana negli ultimi 187 giorni: non essenziale. Quell’ora in più, non a caso, nasce dalla spinta economica di ristoranti e pizzerie, più che dalla restituzione di pezzi di vita sottratti a emozioni, sentimenti, palpiti, sospiri, amicizie e amori che da sei mesi si interrompono puntualmente alle 22, in una scia di scarpette dimenticate dalle nuove Cenerentole che il paternalismo (e il moralismo) di Stato non vede o non tollera.

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