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La spunta blu

La sostenibile leggerezza della città ad agosto

Una scena dal film "Il lato positivo"
Una scena dal film "Il lato positivo"
Una scena dal film "Il lato positivo"
Una scena dal film "Il lato positivo"

“Una città non è disegnata, semplicemente si fa da sola. Basta ascoltarla, perché la città è il riflesso di tante storie“ (Renzo Piano)

Sta arrivando quel preciso momento dell’anno. Agosto, in mezzo ad agosto, per due settimane, più o meno. Non vado mai in vacanza in quel preciso momento dell’anno. Tutti scappano, io resto, perché la città perde densità e gravità nello svuotarsi, la pressione sulle strade evapora come gocce di pioggia sull'asfalto rovente. E corro, anche se non è tanto il caldo, ma l'umidità che ti soffoca. Corro perché la corsa può permettersi di farsi leggera, come un adolescente che non conosce regole, non si pone limiti, non rispetta confini. In quel preciso momento dell'anno chi come me corre in città non avverte più, o avverte meno l'effetto-riserva, quel confinamento innaturale ai margini: sui marciapiedi, sulle ciclabili, nei parchi. Posso correre osando l'inosabile: provare l’ebbrezza di poggiare i piedi su strade finalmente libere, attraversare piazze assolate ma deserte, andare su e giù per ponti che in questa parentesi di pochi giorni non puzzano più di gas, ma profumano persino. Le città sono lente, impiegano secoli per captare mutamenti che si generano in pochi attimi. E così sembrano stare sempre qualche passo indietro, con il fiato grosso e il sudore sulla fronte, rispetto ai desideri di chi le abita e le vive. "Nessuna città - annota lo scrittore britannico Cyril Connolly - dovrebbe essere tanto grande che un uomo una mattina non possa uscirne camminando". Il mosaico di piste ciclabili scollegate tra loro, i marciapiedi sconnessi, le strade senza banchine, gli argini abbandonati alla vegetazione selvatica non sono che fotografie di questa grande lentezza ad adeguarsi ai nuovi stili di vita, che reclamano luoghi per camminare, pedalare o correre, protetti e sicuri. La pandemia e i lockdown non hanno fatto che amplificare questa domanda di spazi, alla quale non corrisponde un'offerta all'altezza. Oggi ha costi angoscianti creare vuoti e silenzi in quartieri pieni, saturi di materia e rumore. Strano aver immaginato città che sembrano pensate più per essere attraversate rapidamente e sovrappensiero che per lasciarsi sedurre e irretire fino a rallentare e poi fermarsi. Non so dire perché, ma l'occasione è stata persa 50, 60, 70 anni fa, quando l'Italia si rimetteva in piedi dopo la guerra: nell'allargare confini e orizzonti, le città disponevano di spazi indefiniti, eppure sono state costruire strade senza marciapiedi, senza piste ciclabili, senza fermate per gli autobus, come se chi stava progettando le nuove periferie immaginasse un futuro di esseri umani perennemente al volante di automobili concepite come unico possibile mezzo per spostarsi. Ci vado anch'io in auto, tanto, troppo, come tutti: spesso perché non ho alternative. E se le alternative ci fossero? “La città - scrive Italo Calvino in "Le città invisibili" - non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, svirgole”. Al tavolo da gioco del futuro hanno scommesso tutte le loro fiches sulle automobili e intorno alle automobili hanno costruito città che oggi con titanica fatica tentiamo di correggere, modificare, ridisegnare per inseguire l'urgenza di una mobilità a misura di donna e uomo. Alla fine dell'ultimo anno scolastico ho disegnato alcuni tragitti da casa alla piscina per le mie figlie, che chiedevano di muoversi in autonomia con le biciclette. Sono soltanto tre chilometri e mezzo, eppure non sono riuscito a trovare un solo tragitto completamente sicuro: ci sono tanti frammenti di piste ciclabili separate da incroci pericolosi, molto trafficati, che spesso richiedono ai ciclisti manovre azzardate, troppo azzardate. In fondo, nemmeno i mille metri da casa a scuola riescono a percorrerli in sicurezza su piste protette. Ad ogni campagna elettorale ascoltiamo programmi che annunciano la ricucitura del puzzle delle ciclabili: poi però il tempo passa e accade poco o nulla. Quella che oggi è una sfida salatissima, mezzo secolo fa sarebbe stata una scelta a costo zero. Oggi fa la differenza nell'attirare nuovi residenti e turisti: la disponibilità di spazi in cui camminare, pedalare o correre viene segnalata nelle guide on line. Eppure Vicenza ancora non ha una ciclovia che lasci dialogare il centro storico con Monte Berico: per arrivarci bisogna scavalcare la barriera di un viale a quattro corsie. Non è incredibile? Un percorso in sicurezza non c'è nemmeno verso il quartiere del nuovo tribunale o per lo stadio o per l'ospedale. Renzo Piano una volta ha detto che una città non è disegnata, semplicemente si fa da sola: basta ascoltarla, perché la città è il riflesso di tante storie. Quelle storie siamo noi che ci agitiamo alle rotatorie come mosche in un vaso di vetro, noi che cerchiamo i pezzi di ciclabili sulle mappe come i bambini uniscono i punti nei giochi enigmistici, noi che corriamo su marciapiedi di pasta frolla ogni mattina, con il sole o la pioggia, la sete o la neve. "Le città come i sogni - scrive ancora Calvino - sono costruite di desideri e di paure". Poi però arriva Sant’Agosto e fa questo piccolo miracolo: riconnette nello stesso tempo e luogo la città con chi la vive, e ogni cosa appare leggera, libera, sostenibile. E noi che corriamo ci lasciamo rapire, ci tuffiamo dentro, senza lacci, senza confini: come ragazzini senza regole. “Un deserto che conosco, tutta mia la città...”.

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