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La spunta blu

La palude italiana, tra Quirinale e didattica a distanza

Una scena dal film "Per un pugno di dollari"
Una scena dal film "Per un pugno di dollari"
Una scena dal film "Per un pugno di dollari"
Una scena dal film "Per un pugno di dollari"


«A che pagina prof?». Dalla stanza di mia figlia filtra l’eco della videolezione. Sono ormai le undici di venerdì, Enrico Mentana sembra ringiovanito di dieci anni: quinto giorno di maratona, sullo schermo le telecamere inquadrano l’aula vuota di Montecitorio e gli scatoloni dei seggi. Camera e camerini. Stallo alla messicana, come in un film di Leone (Sergio). «Siamo a pagina 201», risponde la prof. Mezza classe c’è, l’altra mezza è missing in action: il collegamento da una lezione all’altra è sempre ballerino, qualcuno è andato in bagno, qualcun altro prova il microfono, si sente un fischio, un miagolio addirittura. Su WhatsApp mi mandano un’Ansa con le novità sulla gestione dei casi covid a scuola, non è chiaro se sono cose già decise o solo annunciate, se sono in vigore o se lo saranno. Lo chiedono a me perché sono mezzo genitore e mezzo giornalista, un Minotauro più o meno. Non si fa che parlare di tamponi, la casistica è ormai sterminata tra vaccinati con una dose, vaccinati con la seconda, da più o da meno di 14 giorni, contatto stretto, contatto largo, solo dad o anche isolamento, ma in piscina ce lo posso mandare? La segretaria della pediatra non lo sa, non hanno ricevuto disposizioni, quella è un’Ansa, non è un’ordinanza. Intanto sfilano i grandi elettori: non più di nove sono chiusi dentro i palazzi a trattare, gli altri mille si fanno i selfie in aula o nel Transatlantico, parlano di emozione, pensa che emozione piegare una scheda senza nemmeno scriverci sopra un nome o addirittura rifiutarla. Mia figlia sbuca dalla sua stanza, c’è la ricreazione: è un mezzobusto pure lei, come tutti quando siamo collegati su Meet. Mi chiede come stiamo messi. La guardo, le chiedo: preferisci lo spiegone o lo spieghino? «Ho dieci secondi», chiarisce sgranocchiando un cracker. Vado dritto al punto: «Tutto bloccato». «Ma perché si fanno le foto sorridenti? Cosa c’è da festeggiare se non si mettono d’accordo? Vabbè, torno di là». Il Quirinale spiegato a mia figlia è un po’ come spiegarlo a uno straniero: già il ruolo del presidente è avvolto negli arabeschi del dna italiano, figurarsi decrittare questo rito antico, diciamo pure misterioso, a volte oscuro, se non proprio esoterico. Un cerimoniale che si ripete uguale, dall’epoca del telegrafo a Tik tok. Che senso abbiano le prime tre votazioni con l’asticella del quorum ai due terzi, non se lo ricorda più nessuno e nessuno sa più dire perché. 
«A che pagina prof?». «Sempre la 201, non ci siamo mai spostati da lì». Suona il campanello. Suona di nuovo. Due volte. Panico. Dev’essere il postino. E se fosse la bolletta della luce? Sarebbe la prima dopo i rincari: ce la faremo a vivere o sopravvivere? Mentre percorro il corridoio spengo le luci lasciate accese in serie da mia figlia “Pollicino”: tracce del suo passaggio come le briciole di cracker che sfrigolano a ogni mio passo. Apro. Non è il postino, ma il corriere di Amazon. Sospirone di sollievo: sta tutto pagato. In tv Fico passa alla seconda chiama. Dal pianeta dad si sentono cose come: «dimmi», «niente», «come niente? Hai la mano alzata», «scusi, prof, mi sono scordato di abbassarla da prima».
Mi sbaglierò, ma farei attenzione a non tirarla troppo per le lunghe: non è proprio aria per giocare con le schede bianche o con i candidati da impallinare. Sembra il modo più sicuro per risvegliare la bestia dell’antipolitica. Più che scheda, è bandiera bianca. Non è tanto per l’Ucraina e nemmeno per i bollettini del covid, a cui facciamo sempre meno caso. Semmai è per le regole indecifrabili per tornare al lavoro o a scuola. Ed è per le bollette che i postini stanno infilando nelle buche delle lettere. «Sembra di vedere giocare la Juventus, questi sono tutti scarsi, non faranno mai gol», mi scrive un compagno di fede bianconera. «Si può sapere perché non si sono messi d’accordo sei mesi fa?». Già, perché? Si fa un gran parlare di presidenzialismo, di elezione diretta, di dare la parola agli italiani. Non so se ci arriveremo mai, sarebbe una rivoluzione, però un ritocco, quello sì che si potrebbe fare: modificare le regole, evitare la votazione per sfinimento, stabilire che la votazione è una, massimo due per il ballottaggio: chi ha un voto più degli altri diventa presidente. Così sarebbe tutto più chiaro, più trasparente, più leggibile, più onesto pure: candidati palesi, con un'idea di quello che vorrebbero essere o fare e vinca il migliore e non il meno peggio. Invece così siamo costretti a sguazzare nella palude e tutto sembra fermo, immobile, più un conclave che una democrazia.  «A che pagina prof?». «Sempre la 201». Finirà anche la dad, finiranno anche queste elezioni.

gianmarco.mancassola@ilgiornaledivicenza.it

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