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La spunta blu

La notte dei quarantenni

Una scena dal film "Drive"
Una scena dal film "Drive"
Una scena dal film "Drive"
Una scena dal film "Drive"

“Passami il mantello nero, il costume da torero, oggi salvo il mondo intero con un gioco di magia. Non sarò mai abbastanza cinico da smettere di credere che il mondo possa essere migliore di così”. (Brunori Sas, “Costume da torero”)
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L'ultima volta che ero stato qui ogni cosa era illuminata: oro, gemme, diamanti, rubini, lapislazzuli, gioielli dalle forme più ardite allacciati al collo, ai polsi, alle dita, alle caviglie di donne bellissime e inarrivabili, teletrasportate da un’altra dimensione per celebrare l’apoteosi del lusso. Ci torno dopo molto tempo per mettermi in fila davanti a infermieri e medici che mi chiedono come mi chiamo, quando sono nato, qual è il mio numero di tessera sanitaria, se sto bene, se ho contratto infezioni, se sono allergico ai farmaci, se ho la febbre. L'oro del 2021 non si indossa e non brilla dentro una teca di cristallo: è liquido, imbottigliato in una fiala e viene iniettato. Il nuovo oro è il vaccino contro il covid. A un marziano che chiedesse di capire com'è cambiata la vita di noi terrestri al tempo del virus suggerirei di farsi un giro in Fiera. Qui c'era la vetrina del Made in Italy, un monumento al genio italiano e alla locomotiva del Nordest: venivano da tutto il mondo per leggere e respirare mode e tendenze. Da nove mesi è una fabbrica di tamponi e ora di vaccini: un'efficientissima catena di montaggio, fordismo sanitario. Dove prima risplendevano collier su corpi seminudi fasciati di seta, oggi luccicano aghi di siringhe tra mascherine, cotone e il solito, immancabile gel disinfettante per le mani. È sera, sono le nove, fuori l’aria si fa azzurra e poi blu. La zona industriale è già sprofondata in un sonno leggero: luci spente, cancelli chiusi, poche auto, qualche camion. Un cane abbaia alla luna, non lontano da qui un treno passa sferragliando. Sembra esserci vita solo in questo parcheggio tra la tangenziale, un hotel semivuoto e una discoteca sedata da un anno: è la notte dei quarantenni, la leva degli anni Settanta, siamo quelli della generazione X, eravamo ragazzini quando è caduto il Muro, andavamo all’università quando crollarono le Torri gemelle e ora siamo in fuga dalla pestilenza del nuovo millennio, come zombie che si svegliano dopo un anno di letargo e corrono ad abbeverarsi al sacro Graal con l’elisir che dovrebbe restituirci la vita di prima, quella che ci ha ingrigito i capelli e segnato le rughe, la vita dei viaggi, dei teatri, delle cene, di Instagram, dei selfie, dei figli avuti tardi, delle separazioni arrivate presto, dei lavori instabili e flessibili, della ricerca della felicità, ama, prega, mangia. Non so perché, ma questa processione di donne e uomini mi ricorda una messa del sabato sera: non c’è il pienone, non c’è la solennità, ci si va senza l’abito della festa. A suo modo anche questa è una liturgia: la confessione-anamnesi prima della comunione-vaccinazione. Siamo i primi, ci guardiamo come si guardano i fan che sono entrati per primi al concerto e si sono accampati sotto il palco: e davvero venerdì, quando hanno aperto le prenotazioni per gli over 40, sembrava di pestare sullo schermo del telefonino per un concerto degli U2 più che per quello che per una prestazione sanitaria. Avevamo fretta, sì, ma per andare dove, per fare cosa? A che velocità andremo? È la domanda che mi faccio ogni volta che un infortunio spezza il ritmo delle mie corse con l’oro in bocca del mattino. Mi chiedo se manterrò certi ritmi, se coprirò ancora certe distanze, se rispetterò i tempi, se li migliorerò o se mi dovrò rassegnare ad andare meno veloce e meno lontano. “È che mi chiedevo - cantano in un denso bianco e nero Elisa e Francesco De Gregori - se la più grande fatica è riuscire a non far niente, a lasciare tutto com’è, fare quello che ti viene, e non andare dietro la gente”. L’elogio della lentezza è stato il pannicello caldo con cui ci siamo consolati in questi quindici mesi lenendo le malinconie dei lockdown. Ci siamo giurati di preservare il tempo per noi stessi che avevamo scoperto durante la convalescenza collettiva. Manterremo quelle promesse o ci lasceremo trasportare dalla corrente, vada come vada, purché vada? Un tizio mi fa cenno con la mano: ci conosciamo, non ci vedevamo da un po’, “ci beviamo una cosa finito qui?”, “Eh, ma c’è il coprifuoco”, “ah, cazzo, giusto, vabbè, la prossima volta”. Impilo una fila di crocette su un foglio marchiato con la primula: “L’Italia rinasce con un fiore”. No, non sono attualmente malato; no, non sono in quarantena; no, non ho avuto il covid; e no, non sono incinta. “È che mi lasciavo trascinare in giro dalla tristezza, quella che ti frega e ti prende le gambe, che ti punta i piedi in quella direzione opposta, così lontana dal presente: ma noi siamo quelli che restano in piedi e barcollano su tacchi, che ballano e gli occhiali li tolgono e con l'acceleratore fino in fondo, così belle le vite che sfrecciano”. Me lo ricordo, sono sicuro, tra quelle colonne avevo visto zampillare l’acqua di fontane che sembravano propiziare fortune da capogiro mentre nei privé si firmavano contratti a sei zeri staccando assegni di banche cinesi, indiane, americane, sudafricane. Tornerà l’età dell’oro in questo tempio dell’economia com’era prima del virus? Torneranno le bellissime e inarrivabili donne con i gioielli sulla pelle nuda? In un attimo è il mio turno: passo da una sedia rossa all’altra, rispetto le distanze, su un cartello leggo “Pfizer”, entro nel box, sfilo la manica, “destro o sinistro?” “meglio il sinistro”, ascolto i possibili effetti collaterali, “paracetamolo, se dovesse servire” mi sento dire, “anche mille, di solito ne basta una”. La messa è finita: quindi mesi di attesa per una puntura che dura un battito di ciglia. Un quarto d’ora dopo sono fuori: la partita di andata ce la siamo giocata, tra 42 giorni c’è il ritorno. “E vai e vai che presto i giorni si allungano e avremo sogni come fari, noi siamo quelli che guardano una precisa stella in mezzo a milioni”.

gianmarco.mancassola@ilgiornaledivicenza.it

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